Non profit
INVALIDI CIVILI. Solo il 23% ha contatti con un’associazione
Presentato il Libro bianco: uno studio su 750 persone
Le prestazioni di invalidità sono 5 milioni in Italia con una spesa che si aggira attorno ai 26 miliardi di euro l’anno, pari all’1,7% del Pil. Lo rivela il rapporto del monitoraggio dei trasferimenti monetari per invalidità civile, a cura del ministero del Welfare, illustrato oggi a Roma alla presentazione del Libro bianco sull’invalidità civile in Italia, frutto a sua volta di una ricerca durata tre anni in sei regioni del Nord e del Centro.
Secondo il rapporto presentato alla vigilia della Giornata europea per le persone disabili, sono 2 milioni i trattamenti di invalidità previdenziali destinati a persone con alle spalle una sufficiente storia lavorativa, un milione le pensioni di invalidità civile e 2 milioni le indennità di accompagnamento. Cifre che non tengono conto pero’ di tutte le prestazioni di invalidità trasformatesi in pensioni sociali o di vecchiaia al compimento dei 60 o 65 anni richiesti dalla normativa. Inoltre la spesa per l’invalidità civile è prevista in aumento nel 2008, secondo il bilancio preventivo dell’Inps.
Per conoscere le necessità e la storia degli invalidi civili il ministero del Welfare ha finanziato la ricerca, durata tre anni, che ha portato al Libro bianco, a cura di Matilde Leonardi, neurologa e pediatra, responsabile della struttura disabilità della Fondazione Irccs Istituto neurologico Carlo Besta di Milano.
Un lavoro frutto della collaborazione tra il Besta, la Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) e la Fian (Federazione italiana associazioni neurologiche).
Solo sei regioni italiane Il lavoro si è svolto in sei regioni del Centro-Nord:Friuli, Lombardia, Piemonte, Marche, Umbria e Lazio. «Non è stato possibile coinvolgere Asl dell’area meridionale e insulare del Paese», precisa la ricercatrice Leonardi. “Questo è molto grave – ha commentato il sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella – non si è riusciti a fare l’indagine al Sud”.
750 persone. La ricerca si è basata sulla selezione di un campione di circa 750 persone con disabilità. Le interviste sono state raccolte e analizzate alla luce dell’Icf (la classificazione del funzionamento, della salute e della disabilità messa a punto dall’Oms).
Le cause dell’invalidità: nel 30,2% dei casi alla base ci sono malattie del sistema nervoso e degli organi di senso. Ma anche i tumori (18,1%) e i disturbi psichici (13,5%).
Famiglia. Nel campione studiato la dipendenza della famiglia d’origine è alta. Il 78% vive in casa e viene supportato dai familiari, la fgamiglia è quindi un importante punto di riferimento.
Associazionismo. Molti intervistati non conoscono alcuna associazione di persone disabili, nè a livello locale nè a livello nazionale. Solo il 23% ha contatti con qualche forma di associazionismo. “E non sempre i servizi sociali sono dei facilitatori per queste persone e per queste famiglie – ha detto la Roccella – Occorre migliorare l’accesso ai servizi e monitorare la spesa sociale, per capire come si muovono i flussi di denaro: perchè i soldi ci sono. Come dimostra il fatto che il Fondo per la non autosufficienza non sia stato tagliato. Bisogna lavorare per costruire un welfare a misura di persona disabile”.
Punti critici emersi dal Libro bianco:
-Leggi La frammentazione delle leggi per l’accertamento dello status di persona con invalidità, la difformità dei flussi dei dati e l’assenza di un linguaggio comune.
-Scuola non dell’obbligo. La scuola dell’obbligo sembra rispondere bene, quella superiore e universitaria pare un sistema fragile. La mobilità sembra costituire uno dei problemi più gravi.
-Lavoro. Soltanto un numero ristretto degli invalidi civili lavora (17,1%), «e in molti casi si rileva una solitudine del nucleo familiare». «C’è una difficoltà enorme per l’inserimento nel mondo del lavoro – ha evidenziato Giovanni Pagano, presidente della Fand (Federazione associazioni nazionali dei disabili) – Oggi un disabile grave, invalido al 100%, vive con 8 euro al giorno. Chiediamo di tener presente la quotidianità, le nostre esigenze di lavoro e di scuola».
Archivi delle Asl. In alcuni casi non sono aggiornati, in latri hanno dati imprecisi, come è emerso in 43 casi sui 750 monitorati.
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