Cultura

Intrepidi e felici. I preti di Bergoglio

Sono i parroci nelle “villas miserias”, le favelas argentine. Vivono fianco a fianco con i poveri. Dicono messa agli incroci Confessano. Battezzano. E sono in prima linea nella lotta ai narcotrafficanti che ne distruggono i giovani. Un libro, che verrà presentato a Roma questa sera, ne racconta la straordinaria storia

di Giuseppe Frangi

«Quando il caro padre Mamerto Menapace ha ricevuto una copia di questo libro, ci ha detto: “Voi siete curas villeros“. Noi ci presentavamo sempre con un altro nome, quello vecchio con cui il cardinale Aramburu aveva creato questo spazio pastorale: “Gruppo di sacerdoti per le villas de emergencia di Buenos Aires”». Chi racconta è Pepe Di Paola, meglio noto come padre Pepe (nella foto di copertina), uno dei protagonisti del fenomeno che ha segnato in profondità la storia della chiesa e della società argentina. Il riferimento di padre Pepe è al primo libro uscito in Argentina dedicato all’esperienza e alla storia dei curas villeros e che ora esce anche in traduzione italiana.

Un libro scritto da una giornalista, Silvina Premat, grazie ad un lavoro scrupoloso e appassionato, con quaranta visite a 8 diverse villas miserias, e raccogliendo ben 60 interviste Era il 2010, mancavano ancora tre anni all’elezione di  Bergoglio: ma come spiega don Ciotti nell’introduzione all’edizione italiana, non si può capire Bergoglio se non si conosce l’esperienza raccontata in questo libro. Con villas de emergencia o villas miserias si indicano quegli insediamenti, spesso abusivi e sempre precari, analoghi alle favelas brasiliane, che sorgono sia dentro i confini di Buenos Aires sia nella zona periferica.

Il nome deriva dal romanzo di Bernardo Verbitsky Villa Miseria también es América, uscito nel 1957, in cui sono descritte le terribili condizioni di vita dei loro abitanti, per lo più immigrati dal Paraguay e dalla Bolivia. L’impegno dei preti nelle villas miserias risale alla fine degli anni Sessanta, epoca del Concilio Vaticano II e di una chiesa che vuole sincronizzarsi con le speranze di milioni di persone tagliate fuori da uno sviluppo che raramente si trasforma in progresso. «A portarci nelle villas fu una questione di fede, di un sacerdozio liberatore. Gesù ama l’uomo libero, liberato e liberatore», ha raccontato padre Hectór Botán, uno dei primi curas villeros. Personaggio chiave di quella prima comunità era stato padre Carlos Mugica, ucciso l’11 maggio 1974, davanti alla chiesa di San Francisco Solano, nel quartiere operaio di Mataderos, dove aveva appena finito di celebrare messa e di parlare con una coppia di giovani che stavano per sposarsi.

«Quelli che militavano in formazioni politiche lo consideravano un leader politico. Ma per la gente della Villa lui era semplicemente “el padrecito”», spiega Guillermo Torre, suo successore alla chiesa di Cristo Obrero, a Villa Retiro. Mugica era stato tra i primi preti argentini ad aderire al Movimento dei sacerdoti per il Terzo Mondo, che sulla linea di figure come il vescovo brasiliano Helder Càmara si coinvolsero nelle lotte popolari in nome dell’opzione per i poveri. «Niente e nessuno mi impedirà di servire Gesù Cristo e la sua Chiesa lottando insieme ai poveri per la loro liberazione», scriveva Mugica, con una frase che i curas villeros di oggi hanno scelto come loro slogan. Al suo funerale parteciparono più di 20mila persone. Ci vorranno oltre 25 anni perché la grandezza profetica di padre Mugica venga riconosciuta.

E sarà nel 1989, per volontà proprio di Jorge Maria Bergoglio, da un anno arcivescovo di Buenos Aires. Fu lui infatti a presiedere la cerimonia per la traslazione dei resti di Mugica dal cimitero della Recoleta nella cappella di Villa 31 dove aveva operato. Bergoglio aveva infatti «eletto» le periferie a centro del suo impegno pastorale, diventando il punto di riferimento di una nuova leva di preti desiderosi di raccogliere l’eredità del primo nucleo di curas villeros.

Conferma infatti padre Pepe: «Noi siamo parte di una storia che risale a più di 40 anni fa, quando la chiesa decise di andare a convivere con il suo popolo fedele (il popolo villero). Ogni epoca ha avuto le sue sfide, e il “prete villero” è sempre stato presente accanto ai suoi vicini villeros». Una data fondamentale nella storia dei curas villeros è il 3 aprile 2009. Quel giorno padre Pepe, insieme ad altre decine di sacerdoti, presentarono al pubblico un documento di denuncia contro il traffico di droga nelle villas. I narcos risposero minacciando di morte il sacerdote che dovette trasferirsi in una parrocchia di campagna presso Santiago del Estero, a circa 1200 chilometri da Buenos Aires.

Ma alla fine del 2012 Di Paola è tornato nelle villas dell’area metropolitana di Buenos Aires. «L’altra faccia, il lato oscuro dei nostri quartieri, è la droga insediatasi da anni, forse con maggior forza dal 2001», si denunciava in quel documento. «Tra di noi la droga è di fatto depenalizzata. È consentito possederla, trasportarla, consumarla, senza essere in pratica minimamente disturbati. Abitualmente né la forza pubblica, né alcun organismo in rappresentanza dello stato s’introduce nella vita di questi ragazzi che hanno il veleno tra le mani». Se i mass media gettavano tutte le colpe sugli abitanti delle villas miserias e sulla loro presunta vocazione alla delinquenza, i sacerdoti ribaltavano con forza la lettura dei fatti: «La maggior parte di coloro che si arricchiscono con il narcotraffico non abita nelle villas, in quartieri dove la corrente elettrica arriva a singhiozzo, dove un’ambulanza esita ad addentrarsi e dov’è abituale vedere fogne a cielo aperto. Altra cosa, e ben diversa, è che lo spazio della villa – come zona franca – risulti funzionale a questa situazione».

Continuavano poi i curas villeros: «Sgomenta vedere come quel bambino che veniva al catechismo, che giocava così bene a calcio la domenica, oggi “è perduto”. Dà un profondo dolore vedere quella bambina che ieri andava a scuola e che oggi si prostituisce per fumare paco» (il paco o pasta base è una droga a basso costo simile al crack. Si ricava da residui di cocaina lavorati con acido solforico e kerosene. È considerata la droga più pericolosa in circolazione in Argentina).

Il 7 agosto di quell’anno, di fronte alle minacce dei narcos, Bergoglio anziché arretrare diede un riconoscimento solenne all’esperienza dei suoi preti di periferia, istituendo il “vicariato per le villas de emergencia”, a sostegno del «lavoro pastorale che i presbiteri, i diaconi e i laici vi svolgono; e al fine di sfruttare nel miglior modo possibile tutte le risorse umane e spirituali di cui disponiamo in questa arcidiocesi per un più efficiente lavoro apostolico». Il gruppo dei curas villeros, trasformato in vicariato episcopale – con padre Di Paola alla guida – ha fatto sua la sfida di prevenire e combattere il consumo di droghe. «Per riuscirci non proponiamo un obiettivo diverso da quello che è nel cuore del cristianesimo: affermare la vita», scrivevano in uno dei primi documenti. Il vicariato villero ha iniziato l’azione firmando subito convenzioni con i ministeri dello Sviluppo sociale e dell’Educazione e con l’amministrazione dei parchi nazionali, per intraprendere programmi finalizzati alla formazione integrale dei bambini e dei giovani delle villas di Buenos Aires…

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La copertina di “Preti dalla fine del mondo»

Esce in questi giorni in libreria Preti dalla fine del mondo. Viaggio tra i curas villeros di Bergoglio (Editrice Missionaria Italiana, pp. 320, euro 18,50, prefazione di Luigi Ciotti), libro di Silvina Premat, giornalista del quotidiano La Nación. Silvina Premat e padre Charly Olivero, uno dei protagonisti di Preti dalla fine del mondo, impegnato nella parrocchia di Virgen de los Milagros de Caacupé nella villa 21-24, sono in Italia per una serie di incontri (il primo stasera ale ore 18, Roma, Sala Marconi, Radio Vaticana).

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