Welfare

Intiglietta: la soluzione è il voucher abitativo

Il presidente di Ge.fi iterviene nel dibattito promosso da Vita.it: «Quella del buono può essere una strada praticabile, ammesso che non sia affidata esclusivamente alle mani pubbliche»

di Lorenzo Alvaro

Milano è un cantiere continuo. La città è in trasformazione perenne. Lentamente ma inesorabilmente continuano a crescere nuovi edifici. Ci sono i grattacieli di Garibaldi, City Life in zona ex Fiera e i palazzi di Gioia. Un numero esorbitante di nuovi edifici. Una nuova ondata di urbanizzazione che desta qualche perplessità. Vita.it ha intervistato sull'argomento Antonio Intiglietta, presidente di Ge.Fi. Gestione Fiere SpA, società che organizza ogni anno “EIRE – Expo Italia Real Estate”, dedicata al mercato immobiliare e al marketing territoriale. Attualmente è anche alla guida della società consortile Compagnia dell’Abitare, nonché di Urb.A.M. Srl, specializzata nella progettazione di piani urbanistico-architettonici. All'inizio del dialogo Intiglietta ci tiene a fare un quadro della situazione. «Iniziamo col dire che la politica nazionale della casa si è fermata con il Piano casa Fanfani e le case Gescal. Da quel momento in poi questo Paese ha campato dell'eredità di questa politica e non ne ha più avuta una nazionale», chiarisce subito il presidente di Ge.Fi che aggiunge «Il piano Gescal, nella costruzione di edilizia popolare per rispondere al bisogno abitativo delle persone più povere, si basava su un fondamento: ogni lavoratore pagava una tassa che creava un fondo per realizzare il piano casa che veniva distribuito sul territorio e gestito nella parte principale delle sue attività dall'Istituto autonomo case popolari. Finiti i fondi da una parte e naufragata l'esperienza dell'Istituto dall'altra ci sono stati seri problemi nella gestione del processo sociale di gestione delle case».
 
Lei è uno degli imprenditori più attivi sul fronte del social housing. Perchè?
Accanto al sistema spiegato prima c'è stata per anni l'edilizia convenzionata data dal movimento cooperativo che attraverso alcune agevolazioni poteva costruire case ad un costo minore dell'edilizia libera. Poi però è arrivata la crisi.

E cosa ha comportato?
La crisi che stiamo vivendo ha, da una parte, azzerato ogni disponibilità economica finanziaria del pubblico. I comuni non hanno più una lira da investire. Dall'altra la domanda di case sociale, in affitto per lo più, sta aumentando a dismisura. Quindi se prima questi strumenti riguardavano solo le giovani coppie e gli studenti oggi la fetta si è allargata. Una volta era un’edilizia dedicata a quella zona grigia del mercato né così povera da avere diritto alla casa popolare ma neanche così ricca da potersi permettere una casa in edilizia cooperativa. Oggi questo bisogno è aumentato in modo esponenziale e investe anche chi prima non rientrava in quel segmento, ma non riceve una risposta adeguata.

Dunque entra in scena l'housing sociale?
Si è affacciata sul mercato questa nuova via. Il cosiddetto housing. Il fondo nazionale della Cassa depositi e prestiti interloquendo con fondi territoriali e regionali genera disponibilità finanziarie che vengono usate per dare una risposta al mercato della casa. Dimore ad affitti calmierati, certamente più alti di quelli dell'edilizia popolare, ma molto più bassi di quelli di mercato. Dopo parecchi anni di tirocinio si è costituita una certa solidità nel fare iniziative di questo tipo. Questo è il quadro complessivo: la povertà aumenta, i costi, anche degli affitti agevolati, aumentano e i soldi pubblici sono finiti. Ecco perchè si è pensato a questa nuova possibilità

Il pubblico non avrà più soldi ma può fare comunque qualcosa, quantomeno dal punto di vista della gestione del problema?
Certo. Dobbiamo decidere chi bisogna sostenere. Capire chi sono i veri poveri che hanno bisogno e diritto ad una casa, ma non sono in grado di pagare neanche un prezzo agevolato. Perchè spesso nelle popolari si annidano sedicenti poveri che subaffittano e speculano. Oppure che si spacciano per indigenti ma non lo sono, e usufruiscono di casa popolari.

Il rischio però è che capiti quello che è successo con i falsi invalidi, una caccia all'uomo. Qualcosa di propositivo?
Una volta che si saranno individuati i veri poveri si potrà pensare ad un modo serio per sostenerli. Istituire, ad esempio, un voucher sociale abitativo. In cui il fondo pubblico segue la risposta al bisogno. Un buono che non venga dato all'istituzione pubblica o a ventaglio senza controllo agli operatori. Un aiuto che risponda veramente ai bisogni.  

E per chi non è sotto la soglia di povertà ma vive comunque situazioni di difficoltà cosa fare?
Dare un vero sviluppo all'housing sociale incrementandolo. Creare un protagonismo dei soggetti sociali del territorio, sostenuti dal sistema finanziario locale, in modo che creino una nuova risposta abitativa in tempi rapidi e a condizioni possibili. Per condizioni possibili intendo che un affitto non può superare il 30% del reddito della famiglia.

Concretamente come si può fare?
Sia nella forma degli affitti classici oppure l'acquisto a medio o lungo termine nelle vecchie formule degli anni 50 e 60. Quelle che si chiamavano case a riscatto e che permettevano l'acquisto a prezzi calmierati. Ma senza dimenticarsi che è urgente che si razionalizzi i pochi soldi che ci sono e si diano a chi veramente servono. Se non ci sono i soldi pubblici il patrimonio pubblico e parapubblico deve essere messo a disposizione, a prezzi incentivanti, in modo che crei un sistema virtuoso.

Gli studi di Sicet e Politecnico dicono però che i piani edilizi di Milano non rispondono al fabbisogno della città. In parole povere si costruisce per i ricchi quando la domanda è un'altra…
È un falso problema. Gli operatori privati fanno edilizia di alto livello se trovano un mercato. Se non trovano un mercato non la fanno più…  

Certo il mercato si auto regola. Ma il Politecnico sostiene che in realtà si costruiscono residenze di lusso nonostante il mercato dia altre indicazioni. Entro il 2018, secondo i loro studi…
Non sono d'accordo. Il problema è più banale e lo dice la realtà. Basti pensare che molte concessioni non sono state accordate perchè non c'è mercato. Il problema è un altro: vogliamo incrementare l'housing sociale, non di qualche palazzina, ma di cento o duecento palazzi o no?

Qui entra in gioco però il consumo del territorio. A Milano ci sono 4 milioni di metri cubi di edilizia abbandonata, 61mila appartamenti e 120mila uffici sfitti. Non si può pensare di riutilizzarli?
Certo, sarebbe il caso di mettere a disposizione di riconversioni ad edilizia sociale i patrimoni pubblici e privati, anche di enti non profit o sedicenti tali. Per il recupero basta una politica che incentivi i proprietari a cederli. Non ci può essere un speculazione nella cessione. Sarebbe bello riuscire a incentivare fiscalmente iniziative come queste. A condizione però che la vendita sia a costi di mercato. Bisogna poi dare garanzie a chi mette le proprietà in affitto.

Su questo tema Stefano Boeri proponeva un'agenzia, un soggetto terzo, che facesse da garante tra i proprietari e gli affittuari…
Si. Diciamo che ci vorrebbe un agenzia pubblica che faccia da garante. Va bene. Molto bello. Però dobbiamo dare dei segnali di accelerazione delle nuove politiche sociali. Se continuiamo ad essere così timidi nel proporle e così complicati nel metterle in campo noi ne parliamo ma intanto la gente la casa non ce l'ha.    
 


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