Non profit

Intervista. Parla il professor Giorgio Pastori. Quelle esclusioni nemiche della legge

Per il padre della riforma del procedimento amministrativo, lo Stato non può chiedere al cittadino informazioni che già conosce. E questo vale anche per il Fisco.

di Gabriella Meroni

Se in Italia dici «diritto amministrativo», dici Giorgio Pastori. Il preside della facoltà di Giurisprudenza dell?università Cattolica (oltre che ordinario nello stesso ateneo) è un?autorità indiscussa in materia, autore di testi fondamentali su cui studiano e hanno studiato generazioni di studenti, ed è estensore della legge 241 del 1990, ovvero della riforma del procedimento amministrativo. Al professor Pastori chiediamo lumi sulla legittimità delle esclusioni dal 5 per mille dello scorso anno.
Vita: Professor Pastori, l?edizione 2007 del 5 per mille ha visto molte associazioni escluse per motivi formali. La maggior parte non è stata ammessa perché ha omesso di inviare la documentazione circa identità e status, che d?altra parte doveva già risultare all?Agenzia delle Entrate. Come giudica questa situazione?
Giorgio Pastori: Ciò che sorprende è l?inflessibilità dimostrata dall?amministrazione finanziaria rispetto ai casi segnalati di inadempimento formale. Da anni sono state introdotte norme sulla pubblica amministrazione che hanno lo scopo di dare maggiori certezze e garanzie nel rapporto tra questa e il cittadino, privilegiando un rapporto sempre più paritario e collaborativo fra cittadini e amministrazioni anche al fine di limitare il contenzioso.
Vita: E invece…
Pastori: Dalle notizie che giungono dalle organizzazioni, questo rapporto collaborativo non sembra palesarsi. So bene, dato che un poco conosco gli enti non profit, che gran parte di queste organizzazioni non ha – e non può avere – una struttura amministrativa costantemente aggiornata sulle novità normative e sugli adempimenti conseguenti. L?attenzione dei responsabili è attirata, giustamente, da ben altri problemi. Il che dovrebbe tuttavia già indurre qualsiasi amministrazione pubblica a valutare con ragionevolezza eventuali inadempimenti formali degli enti, se non ci fossero anche le norme della legge generale sull?attività amministrativa, la 241 del 1990, a imporlo.
Vita: Lei ha fatto personalmente parte della Commissione che ha elaborato il testo originario della legge 241, e ha previsto in particolare la norma dell?articolo 18, che prevede che la pubblica amministrazione non debba richiedere al cittadino informazioni già in suo possesso. Si può ritenere applicabile la norma al caso, secondo lei?
Pastori: La 241 ha dato l?avvio alla democratizzazione e semplificazione dei rapporti tra amministrazione e cittadino. Si tratta di una normativa importante perché parte dal principio costituzionale (articolo 97) che eleva l?attività amministrativa ad azione tesa al buon funzionamento, all?imparzialità e all?effettiva e oggettiva realizzazione degli scopi individuati dalle leggi. Inoltre, l?attività dell?ente pubblico non è più da leggere come mera manifestazione delle istituzioni di governo, ma come modo di soddisfare gli interessi che il cittadino e i soggetti collettivi si attendono come sanciti dalle leggi. Nel particolare, la legge afferma, all?articolo 18, un principio di immediata comprensione, secondo il quale ciascuna pubblica amministrazione deve acquisire d?ufficio la documentazione necessaria attestante stati e qualità soggettivi già in possesso proprio o di altre amministrazioni, come per esempio i documenti che attestano che la onlus è iscritta all?anagrafe o che l?organizzazione di volontariato è presente nel registro regionale. Ma c?è altro…
Vita: Prego.
Pastori: Se non bastasse, la stessa norma viene esplicitamente ripresa dallo Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/00) che ha esteso i principi della 241 al campo dell?amministrazione tributaria, affermando che «al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell?amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente». L?espressione «non possono, in ogni caso» mi sembra abbastanza eloquente. Al riguardo va ricordato poi anche l?altra norma della legge 241, cioè l?articolo 6, che stabilisce che il responsabile del procedimento può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di istanze erronee o incomplete. Si sancisce in sostanza il principio secondo cui ogni volta che sia possibile si debba procedere alla regolarizzazione dei difetti formali.
Vita: Che cosa consiglia dunque di fare alle associazioni escluse ma in possesso dei requisiti necessari all?ammissione?
Pastori: L?iniziativa della quale vi fate promotori con l?istanza al ministro dell?Economia e al viceministro Visco mi sembra un primo passo obbligato per segnalare in maniera collettiva all?amministrazione competente la mancata applicazione di norme generali di principio come quelle richiamate, e le possibili conseguenze negative che si possono determinare anche per la stessa amministrazione.
Vita: Perché?
Pastori: Perché se si procedesse poi anche a un ricorso collettivo al Tar, percorribile dalle organizzazioni, e il tribunale desse ragione alle organizzazioni, si arriverebbe al risultato che il 5 per mille potrebbe costare allo Stato molto di più.
Vita: Vale a dire?
Pastori: Faccio un esempio. Le somme non corrisposte alle organizzazioni non ammesse devvono essere suddivise tra le organizzazioni ammesse. Nel caso il Tar desse ragione alle ricorrenti, si dovrebbe poi cercare di recuperare queste somme o ricorrere a risorse aggiuntive per corrispondere il dovuto agli enti che in un primo momento erano stati esclusi. Sotto questo e altri profili vi potrebbero essere ragioni tali da giustificare azioni di responsabilità nei confronti dell?amministrazione e dei funzionari preposti.


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