Mondo

Intervista ad Alberto Cairo. Cari giornalisti, non si sparisce così

Il medico, da 13 anni a Kabul ad attaccare protesi lancia un’accusa forte ai mass media. "Spesso gli inviati arrivano senza sapere il nome della capitale... "(di Paola Pastacaldi)

di Redazione

Alberto Cairo è sempre là, in prima linea, a Kabul. Continua nella sua attività di sempre: recupera gli amputati, cui ridà braccia e gambe e per i quali ha inventato un progetto di microcredito per il reinserimento nel mondo del lavoro. Per questo la Regione Lombardia gli ha assegnato il premio per la Pace 2003. Alberto Cairo è in Afghanistan da 13 anni. Ma non ha mai smesso di considerare importante il far sapere, il comunicare al mondo ciò che lui vive . Vita: Come si comunica oggi la pace attraverso i giornali? Alberto Cairo: Alcuni giornalisti inseguono la notizia, non vogliono e non cercano d?avere una visione più generale e approfondita. D?altronde, è comprensibile, è la notizia che fa il giornalista. Ma in Afghanistan ho incontrato anche giornalisti che si battono per la verità dei fatti e per educare i lettori alle cose importanti ed essenziali, cercando di sfuggire ai luoghi comuni e che non scrivono solo ciò che il lettore ama sentirsi raccontare. Vita: Può essere più preciso? Cairo: Pensavo soprattutto ai giornalisti calati in massa a fine 2001 e inizio 2002. Sono arrivate persone che non sapevano neanche dov?è la capitale, che mi chiedevano dov?è Jalalabad, dove erano i confini col Pakistan e che non conoscevano la differenza tra le etnie. Sembrava che non avessero aperto neanche un libro di geografia. Questo con gli inviati delle grandi testate non accade, né con quelli che tornano più volte. D?altro lato, c?è di positivo che i giornalisti mi portano informazioni politiche cui non avrei accesso. È vero, però, che tutti noi siamo, in qualche modo, responsabili della guerra. Collaboriamo alla guerra. Io, per esempio, opero in Afghanistan facendo gambe e braccia, ed è un lavoro che dovrebbe fare il Paese per i suoi cittadini, così io facendolo lo lascio libero di far la guerra, libero da questa incombenza. Siamo tutti dentro un ingranaggio perverso. Detto questo, la cosa che più mi disturba è che se un giornalista viene in Afghanistan per scrivere di questo Paese, dovrebbe venirci preparato e invece molti arrivano con idee precostituite. Purtroppo è accaduto anche che ci siano giornalisti che lavorano solo al seguito di alcune organizzazioni, di cui naturalmente devono scrivere bene e se l?organizzazione non è buona, accade che le informazioni siano tutte distorte. Alla fine hanno la meglio le organizzazioni che hanno un addetto stampa o un pierre. Eppure ci sono piccole strutture che fanno un lavoro eccellente e altre, altrettanto buone, che scelgono di non farsi pubblicità. è una guerra d?immagine e i giornalisti possono essere facilmente abbagliati. Vita: Parliamo delle fonti. Dove si prendono le informazioni? Cairo: Gli afghani sono bravi a intuire ciò che il giornalista vuole sapere. Ho assistito a un?intervista al centro ortopedico. Un amputato da mina da oltre dieci anni ha raccontato al giornalista che era stato imprigionato dai talebani, picchiato e alla fine avevano dovuto amputargli la gamba. Il giornalista era felice e l?afghano pure, perché per mezz?ora s?era inventato una storiella. Il traduttore, che sapeva la verità, se ne fregò, non disse nulla. Vita: Dopo la liberazione è stato scritto che tutto cambiava, con enfasi poco credibile. Che dice? Cairo: Che è vero. Ma poi ci si è accorti che non era così e s?è cominciato a scavare. Soprattutto i giornalisti abituati a venire spesso hanno cercato di capire. In generale sull?Afghanistan i giornali raccontano sempre le stesse cose, mentre questo Paese è tante cose e non sa cos?è la pace. È una esagerazione naturalmente, ma qui si è sempre combattuto. Vita: La stampa ha fatto di lei anche un personaggio. Cairo: Sono molto disponibile con la stampa, ma non accetto di trasformarmi in una Madre Teresa di Kabul. Non cerco l?intervista, ma capisco che è importante che si parli del mio lavoro. Non voglio però che si dica che resuscito i morti, non accetto di essere trasformato in un martire che si sacrifica per i bimbi. Vita: Cosa si vede e si legge in Afghanistan? Cairo: I ricchi vedono la Cnn e la Bbc, gli altri la tv nazionale con la sua propaganda. Soltanto l?1% ha una parabola. Io leggo molti giornali stranieri, dal New York Times all?Herald Tribune, da Liberation a Le Monde, dal Guardian a El Pais. Ma dell?Italia non sapevo più niente. Quando torno, mi compero una tv. E voglio denunciare che l?informazione sull?Afghanistan è stata azzerata. Questo Paese è stato dimenticato. Eppure ci sarebbero da raccontare le storie di come vivono i detenuti, le riunioni familiari, cose terribili e cose meravigliose. La gente in Italia ha una gran voglia di sapere. Continuo a ricevere molte lettere, anche da maestre di scuole italiane, che mi chiedono come spiegare ai bimbi le cose. Mi mandano piccoli lavori, ricerche e qualche soldino. Sono commoventi. di Paola Pastacaldi


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