Welfare

Intervista a Sofri: Ci manca Chaplin

Dal carcere. Su sinistra, Berlusconi e no global.

di Ettore Colombo

Facciamo un gioco. Sei un libero cittadino e vai a una manifestazione dell?Ulivo. Ti vedono e t?invitano a salire sul palco. Che fai, ci vai su, a dire delle cose di sinistra?
Adriano Sofri: No, guarda, io al massimo avrei fatto una faccia, una smorfia, ma nessun discorso. Avrei bisogno di tempi lunghi, di discutere, di ragionare, i tempi dei comizi non fanno più per me. Ma credo che, in quell?occasione, il silenzio assordante fosse quello di chi era già su quel palco, dei Rutelli e dei Fassino. Perché non hanno ripreso la parola, dopo la sparata di Moretti? Perché non hanno cercato un dialogo con la gente, la loro gente? Quella manifestazione non avrebbe dovuto concludersi così, con le loro facce attonite, impietrite, ma andare avanti. Dovevano riprendere l?iniziativa. Subito.
Vita: D?Alema, con i 40mila al Palavobis, era da te. T?ha detto: «Passavo di qui per caso?»
Sofri: Figurati! Come sai, le visite in carcere vanno chieste in anticipo. Semplicemente, non ha voluto rimandarla. Io sono stato tra i primi a consigliargli di andarsene dall?Italia, per un po?, ma in tempi lontani, e cioè già quando venne a trovarmi la prima volta, subito dopo la caduta del suo governo. A Firenze se l?è cavata bene, molto meglio di quanto non sembri dai giornali: come si direbbe, ha rimontato nel finale. E poi, scusami, ma chi lo ha fischiato, quella sera, era un conformista, lui invece no, ha dimostrato, come diceva Giorgio Amendola nel ?68, che ai movimenti non va lisciato il pelo solo per averne consenso, ma che vanno presi di petto. D?Alema forse è un arrogante, anche se credo che di fondo sia solo un gran timido, ma di certo manca completamente di demagogia. Quella che invece hanno i professori. Che gli hanno fatto un processo in piena regola, stile Partito comunista sovietico. Staliniano, s?intende. Gli hanno chiesto persino l?abiura. Uno spettacolo indegno.
Vita: Ah, vabbé, ho capito: tu vuoi insinuare che in Italia non c?è stato un colpo di Stato, non è stata instaurata un?orribile dittatura, che il Polo ha vinto le elezioni col voto?
Sofri: Guarda, il termine ?regime?, nel nostro Paese, viene da un antico, sbagliato e demenziale uso (il regime democristiano, il regime craxiano, il regime berlusconiano) che ha completamente soverchiato il significato storico e tecnico della parola. Una cosa era il regime fascista, una cosa è quello che avviene ora: basta il buon senso, però, non è necessario ricorrere alla politologia per rendersene conto. E tuttavia, ti dirò che questo Berlusconi mi ha proprio deluso: ma come, uno si aspetta Chaplin ne Il grande dittatore, un?interpretazione geniale e folle insieme da vero antipolitico, e invece è lì che fa leggine, proposte, dichiarazioni senza un colpo d?ala o di genio. Pensa al conflitto d?interessi: poteva fare come dice il Vangelo e dare metà dei suoi beni ai poveri, pensa che successo d?immagine! E invece niente, difende solo il suo. Insomma, lo trovo un governo privo di bizzarria e d?inventiva, più che un regime.
Vita: Critichi l?Ulivo, non demonizzi Berlusconi. Non ami la sinistra modello Palavobis?
Sofri: Troppi leader e leaderini, in questa ?nuova? sinistra, e tutti che fanno a gara a chi è il più abile, il più simpatico, il più bello. Non dico i contenuti, ma almeno il senso della misura, questi presunti leader dove l?hanno lasciato? Sanno solo giocare a chi urla più forte? Ecco, mi ricordano il gioco delle parole, quello che si faceva in spiaggia da ragazzi: uno si mette accanto all?altro, in fila indiana, e dice una cosa all?orecchio del vicino. Quando arrivi alla fine della fila, la parola detta dal primo è diventata un?altra, si è così distorta da diventare irriconoscibile. E tu devi cercare di capire cosa ha detto il primo. Come quelli del Palavobis: erano in tanti, ma urlavano cose incomprensibili. Li ho seguiti su Radio Radicale. In fondo alla fila c?è sempre Di Pietro. Col megafono. Piuttosto, dove sono le donne, in questo movimento? Mi ricordano tanto gli ?angeli del ciclostile? dei miei tempi: ottime a organizzare, nessuno dava mai loro incarichi. Io, all?ultimo congresso di Lotta continua, lasciai proprio per la protesta delle donne, che reclamavano un sano ricambio. E oggi? Perché le donne preparano i girotondi, ma poi non vanno sul palco, non chiedono la parola? è un movimento maschilista, come maschilista è quello anti globalizzazione. Perché non ci sono leader donne, lì?
Vita: Vero. Ma tu, con un passaporto valido per l?espatrio, ci saresti andato a Porto Alegre?
Sofri:Certo che ci sarei andato! Il sindaco di Porto Alegre è un mio caro amico, l?ho avuto spesso ospite a casa mia e immagino che mi avrebbe ricambiato il favore. Da Genova in poi, nell?area cosiddetta no global mi sembra di notare una fase di risalita, di crescita, dopo una preoccupante fase di stallo, di crisi: con la violenza non si scherza, né con quella delle forze dell?ordine né con i fantasmi che a volte alcuni evocano. Non c?è un tasso di violenza accettabile e uno meno, la violenza va rifiutata, sempre. Questa ambiguità, coniugata a un eccesso di politicismo e di tatticismo dei presunti leader dell?area no global, ha creato una forte impasse, nel movimento, spero risolta. Certo è che, nel movimento del Palavobis come in quello per la globalizzazione, c?è troppa gente che occupa troppi posti. Bisognerebbe invece dare vita a una sorta di ?maggese della politica?, se non della storia, facendo riposare la terra, scegliendo i terreni da cui ritirarsi piuttosto che soltanto quelli da occupare. è un invito, il mio, che ho applicato per primo a me stesso. Io mi sono ritirato da tutti i posti disponibili, ma ora credo d?aver esagerato: occupo lo stesso posto da troppo tempo, qui in galera.

La casa di Adriano
Il carcere di Pisa, o meglio l?istituto penitenziario don Bosco, sito in via don Bosco, è mediamente brutto, mediamente triste, mediamente squallido. Insomma, è un carcere. Uno di quei posti che potrebbe stare nel cuore di una città o nella sua periferia senza colpo ferire. Tanto, resta un non-luogo, con i suoi confini, le sue porte, le sue leggi, i suoi abitanti. I ?carcerati? o ?galeotti?, ma anche le ?guardie penitenziarie? o ?secondini? o ?carcerieri?. Ce n?è di tutti i tipi, parlano i mille dialetti d?Italia e hanno anche loro, guai, gioie, fisime, caratteri. Nell?ordine, abbiamo incontrato un secondino antipatico e dispettoso, uno gentile e premuroso, un terzo apatico e depresso. Uccide, il carcere. Intossica, troppo spesso. E mica solo i carcerati, anche i carcerieri. Piallerebbe la mente di chiunque, il carcere. A chiunque tranne che a uno come Adriano Sofri, s?intende.
Sofri è uno che non conosce il significato della parola rassegnazione perché non conosce la parola umiltà: «La galera era un traguardo, per noi, da giovani. Pensi agli eroi del Risorgimento, a Gramsci». Ha un senso dell?ironia innato e una cultura sconfinata. Poi si schernisce: «Mi sento un analfabeta di ritorno», dice, poi cita libri («L?hai letto?»), canzoni («La conosci?») e fatti della vita a raffica, impetuoso. Chiede, curioso, di tutti, amici e nemici. E di te. «Perché porti il loden? Fa freddo, fuori?». «E quegli articoli che hai scritto? Perché non ne hai fatto un libro?». «Me la saluti questa signora Dazzi che dici aveva gente a cena, ma non s?è seduta a tavola perché stava digiunando per me?». Certo, Adriano. Non so, Adriano. Fa caldo a Pisa, ma a Milano, da dove vengo, fa freddo, Adriano.
E’ un fiume in piena Adriano Sofri, detenuto che scrive molto («Chi scrive troppo pensa poco», dice con un ghigno), anche perché l?unica attività che gli è consentita è quella. Scrivere. Tutti i giorni, più volte al giorno, ma di giorno. Di notte, in galera, si dorme. Non si tiene la luce accesa, non si legge, non si parla, non si fa l?amore. A volte la gente, invece, si fa una strana idea delle cose che uno può fare, in carcere: «Se la gode Sofri, eh? Riceve gli ospiti nel salottino, va in tv, scrive, c?ha Internet?». Internet? In galera?

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