Mondo

Intervista a Prodi. Volontari necessari per seminare pace

Il presidente a Sarajevo nel giorno delle ong. Segno di un’alleanza. Lo abbiamo sentito al telefono per la trasmissione Senza fine di lucro.

di Riccardo Bonacina

Il 6 aprile del 1992 migliaia di persone erano scese in piazza a Sarajevo per gridare «Pace» e festeggiare il riconoscimento dell’Onu alla Bosnia indipendente, notizia arrivata proprio quella mattina. Ma la risposta furono i fucili che sparavano contro la folla dagli uffici del partito di Radovan Karadzic nell’Hotel Holiday Inn. Così iniziò la guerra in Bosnia. Durerà tre anni e mezzo e fu il conflitto più sanguinoso in Europa dopo la seconda guerra mondiale: 200mila morti, la gran parte civili, 2 milioni e mezzo i profughi e gli sfollati (su una popolazione inferiore ai 5 milioni), 1.350 luoghi di culto, moschee, chiese cattoliche e ortodosse, rase al suolo. A Sarajevo, la Gerusalemme dei Balcani (così era chiamata per la pacifica convivenza tra etnie), saranno uccisi 12mila civili, di 1.500 bambini. Dieci anni dopo, esattamente il 6 aprile, a Sarajevo si sono ritrovati migliaia di volontari e centinaia di ong e associazioni impegnati da quel giorno a riallacciare fili di reciprocità e a curare le ferite di una guerra terribile. L’iniziativa, dal bel titolo L’Europa dal basso, ha avuto come ospite il presidente della Commissione europea, Romano Prodi. Per la trasmissione Senza fine di lucro (Radio 24-Il Sole 24 ore) l’ho avuto ospite, con un collegamento telefonico. Ecco cosa mi ha detto.

Riccardo Bonacina: Presidente Prodi, perché a Sarajevo in mezzo ai volontari?
Romano Prodi: Perché si è fatta la pace, le ong hanno lavorato, migliaia e migliaia di volontari hanno fatto tanto bene in questi anni, ma resta molto da fare. L’economia è ancora asfittica, la convivenza è ancora precaria, e allora bisogna essere presenti, aiutando questo processo, sostenendolo. Bisogna aiutare il crescere del dialogo, delle istituzioni e dell’economia, ecco perché sono stato a Sarajevo, in visita ufficiale ma nel giorno in cui si ritrovavano i volontari.

Bonacina: L’Europa oggi, a differenza di 10 anni fa, comincia a esserci, si sta dando una costituzione, e guarda a Est.
Prodi: È vero, vogliamo aprire l’Europa a Est e anche alla Bosnia. Con l’obiettivo di dare un futuro certo e e di pari opportunità anche a questo Paese. Siamo impegnati nel mettere in atto le operazioni necessarie all’oggi, aiutando il ritorno dei rifugiati, rafforzando le istituzioni, aiutando l’istituzione di una polizia civile, cooperando all’economia locale. Insomma, lavoriamo per il futuro seminando nel presente.

Bonacina: In questo lavoro, le organizzazioni della società civile sono un alleato importante?
Prodi:
Di più, sono un alleato indispensabile: i volontari e le ong sono gli unici che credono che si possano fare i miracoli, e perciò qualche volta li fanno. Le ong e le associazioni, con i loro limiti (di dimensioni e di mezzi) ci danno il senso di poter superare lo schema giuridico tradizionale senza il cui superamento noi non riusciamo a costruire nuova comunità. Io sono gratissimo a loro, anche se in Bosnia la ricostruzione della società civile appare più lenta e faticosa del previsto.

Bonacina: Unione europea, ong e associazioni possono fare qualcosa anche in Palestina?
Prodi: Meno che nei Balcani, è più difficile. Noi siamo pronti e vogliamo fare qualcosa. Lavoriamo giorno e notte per questo, per la pace, credendoci. Però, siamo di fronte alla scelta israeliana di non accettare l’Europa come interlocutore. Scelta non nuova, ma oggi ripetuta: per loro c’è un solo facilitator, gli Usa. Ma noi sappiamo benissimo che in Medio Oriente non ci può essere pace senza che attorno allo stesso tavolo ci siano Stati Uniti, Europa, Russia e Paesi arabi moderati, assieme alle Nazioni Unite. Questa è l’unica ricetta. Chi vuole imporre una propria pace, separata dalla comunità internazionale, non avrà mai la pace.

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