Famiglia

Intervista a Eugenio Finardi. Più che un angelo, una Mercedes

Il cantante, padre di Elettra, ragazza down, non ci sta: "La gente normale non sa quale sia l’impegno per un figlio disabile: come una cabriolet all’anno" (di Elena Catalfamo).

di Redazione

Come angeli? «Un errore. Per uno che non crede in Dio, un down nasce per puro caso. Un errore. C?è chi nasce con due cromosomi e chi con tre. Elettra è nata down». Parole di disincanto per il cantautore Eugenio Finardi che ha una figlia down cui ha dedicato alcune delle sue canzoni più belle come Favola, Le ragazze di Osaka e Amore diverso. La voce solida si rompe mentre racconta della sua vita con Elettra, ormai ventunenne. Della rabbia e la solitudine di un genitore, di ogni genitore di un figlio disabile. Dell?incapacità della società contemporanea di dare un ruolo, altro che angeli, all?handicap. Alle difficoltà economiche e burocratiche che affliggono una famiglia con figlio down nell?Anno europeo per le persone disabili. Il sole spento «Quando è nata Elettra», racconta in una pausa del suo Cinquantanni tour, «è come se il sole si fosse spento». Era a Fano, in concerto, quando gli hanno detto, in una torrida notte d?estate, che il suo primo figlio stava per nascere. Ha lasciato tutto e in preda a una forte euforia è salito in auto per raggiungere la moglie Patrizia, 24 anni, a Milano. «Arrivato al casello, ho sentito come se qualcosa si fosse rotto». All?ospedale viene accompagnato in una saletta e avvertito della malattia della figlia. «Non sapevo neppure che cosa volesse dire sindrome di down. Poi mi hanno detto che avevo una figlia mongola e ho capito». Rabbia e rifiuto. Non si nasconde, Eugenio Finardi. Ha sperato che, in una crisi respiratoria, il viaggio in questa vita di Elettra finisse, ma così non è stato. C?è voluta una notte insonne e di lacrime per guardare con occhi nuovi, il giorno seguente, quella bambina così diversa. «E ci sono voluti anni di terapia per accantonare tutte quelle aspettative che uno proietta inevitabilmente sui figli e per accettare la mia eterna condanna alla ?diversità?». Nell?Anno che l?Unione europea ha dedicato alle persone disabili, Finardi ha deciso di girare le piazze d?Italia per parlare anche di ciò che non va per i disabili e le loro famiglie, facendo tesoro della propria esperienza. «La burocrazia ti sfianca, oltre a sacrificare la vita di uno dei due genitori. Ricordo l?umiliazione di dover portare Elettra all?ospedale militare di Baggio, in mezzo agli omoni in fila per la leva, per accertare ogni anno l?invalidità di mia figlia e aver diritto alla pensione. I down sono down sempre, perché dovercelo ricordare ogni anno?» E cosa ci vorrebbe? «Un tutor in grado di aiutare la famiglia, già sotto shock per la nascita di un figlio disabile, a districarsi tra le leggi di settore che ci sono ma che non tutti conoscono e comprendono». «La scuola», continua, «è stata un?esperienza positiva per Elettra. Ha trovato insegnanti e compagni che l?hanno aiutata a fare un percorso di inserimento nel gruppo classe. I problemi sono arrivati dopo. Nell?adolescenza. Quando anche mia figlia avrebbe voluto avere un fidanzato, la comitiva e uscire con le amiche. Ma i ragazzi a quell?età sono fragili ed egoisti, non hanno tempo per reggere la diversità. E la nostra società oggi sembra eternamente in preda a una nevrosi adolescenziale, così inadatta a dare un ruolo ai disabili. In un mondo in cui le prime domande che ti fanno quando ti incontrano sono ?Chi sei? Cosa fai?? Elettra è tagliata fuori». Il dopo di noi «Credo molto nella risorsa del volontariato», aggiunge Finardi. «Il volontario può sollevare la famiglia dalle piccole incombenze e aiutarla nella socializzazione in un mondo in cui non esiste più una famiglia allargata fatta del buon vicinato capace di stringere una rete intorno al bisogno dei genitori. Ma del volontariato non mi piace l?atteggiamento pietista che talvolta incontro». E oggi, a 21 anni, come vive Elettra? «L?età adulta», riflette, «è la più complessa da affrontare. E il pensiero del ?dopo di noi? mi affligge. Che ne sarà di Elettra se non ci saremo più noi? Adesso vive in una casa famiglia. Un?ottima soluzione per i ragazzi disabili. Non una grande comunità ma un appartamento nel centro di Milano gestito dall?associazione di famiglie ?Fraternità e amicizia? in cui vivono alcuni ragazzi down. Lei può realizzare il suo sogno di vivere da sola, ha un fidanzato, ma non ha un lavoro. È una struttura privata in cui le famiglie più abbienti finanziano anche chi non se la può permettere. Avere un figlio con handicap è un lusso, come concedersi una Mercedes cabriolet ogni anno. Il pubblico in questo ha ancora passi da gigante da fare».

Elena Catalfamo


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