Welfare

Intersos: «In Italia i braccianti esclusi dal sistema sanitario, la “sanatoria” un’occasione perduta»

«Il Covid-19 si è aggiunto alle tante problematiche di sfruttamento lavorativo e di precarietà abitativa, che i lavoratori stranieri irregolari hanno ogni giorno», a denunciare la situazione è Intersos, l’organizzazione umanitaria che porta avanti un progetto socio-sanitario nei ghetti della provincia di Foggia

di Redazione

Si avvicina la stagione estiva e nelle campagne gli insediamenti informali cominciano a vedere i nuovi arrivi della stagione. Ogni anno in provincia di Foggia, a Borgo Mezzanone, ad agosto, periodo della raccolta del pomodoro, si contano circa 3mila lavoratori accampati in condizioni igieniche precarie. E anche nel resto della Capitanata, i casolari abbandonati sparsi tra i campi si popolano di braccianti agricoli stagionali. Rispetto allo scorso anno, quando è stata lanciata la cosiddetta “sanatoria”, non è cambiato nulla. “La maggior parte dei lavoratori agricoli stranieri che vivono nei ghetti del Foggiano è qui da tantissimi anni ma ancora è irregolare”, denuncia Daniela Zitarosa, capo progetto di Intersos a Foggia. “Tutti – loro e noi operatori umanitari- avevamo riposto molte speranze in questo provvedimento per la regolarizzazione degli stranieri in Italia e invece è stata un’occasione perduta: a causa dei troppi limiti posti dal provvedimento stesso, pochissime persone hanno potuto fare domanda di regolarizzazione rispetto al numero reale di persone che avrebbero dovuto accedervi. E non solo nel settore agricolo”. “Le persone -racconta l’operatrice umanitaria- continuano quindi a lavorare in nero, senza contratto e senza tutele, o quando va bene in “grigio”, cioè con qualche sorta di contratto ma non regolare”.

La pandemia di Covid-19 in questo contesto si è andata a sommare a tutta una serie di problematiche già esistenti. “Come in tutta Italia – racconta Daniela Zitarosa – anche qui nei ghetti ci sono persone risultate positive al Covid e a Borgo Mezzanone, da marzo, hanno la possibilità, se senza sintomi, di stare in isolamento nei container sistemati nell’area dell’ex CARA. Ma la situazione per queste persone è molto più difficile da affrontare che per gli altri: in questi contesti abitativi è quasi impossibile attuare le norme di prevenzione, non si possono mantenere le distanze, lavarsi sempre le mani, avere dispositivi di protezione. E in caso di isolamento, sono costrette a non lavorare e, non avendo un contratto, queste persone non sono tutelate”.

Il provvedimento di regolarizzazione si poneva l’obiettivo proprio di far fronte all’emergenza sanitaria: regolarizzare le persone che vivono nell’invisibilità per facilitarne l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale. Oltre a non aver tenuto conto della complessità del fenomeno dello sfruttamento lavorativo, però, il provvedimento, a quasi un anno dalla sua entrata in vigore, è ancora del tutto arenato. Dal lavoro di monitoraggio svolto dalla campagna “Ero straniero”, che ha aggregato dati raccolti da ministero dell’interno, prefetture e questure, oltre che numerose segnalazioni di criticità da parte di associazioni, patronati e operatori legali in tutto il Paese, è emerso che al 16 febbraio 2021, a sei mesi dalla chiusura della finestra per l’emersione, solo il 5% delle 207.000 domande presentate è giunto nella fase finale della procedura. Uno stallo inaccettabile soprattutto se inserito nel contesto dell’emergenza sanitaria ancora in corso.

Intersos lavora dal 2018 nei ghetti della Capitanata con un progetto di accesso alla salute svolto attraverso cliniche mobili. Dopo un anno di intervento di contrasto al Covid, in un report dal titolo “Pandemia diseguale”, l’organizzazione umanitaria ha evidenziato il legame forte che c’è tra lo sfruttamento lavorativo – e le condizioni di vita e salute precarie- e la percezione del rischio pandemico. “In una vita già caratterizzata da sofferenza, il coronavirus – si legge nel report – rappresenta un problema che si somma ai già molti pericoli esistenti per la salute delle persone. Per molte, le proprie condizioni di vita sono talmente indegne e degradanti da non riuscire a riconoscere nell’emergenza sanitaria un problema di ordine maggiore rispetto ad altri fattori e condizioni di vita che sono origine di sofferenza, sui quali vi è lapercezione di non avere controllo né potere di cambiamento”.

Queste persone affrontano quotidianamente dinamiche strutturali di violenza e sfruttamento che agiscono negativamente sulla loro salute fisica e mentale. In questo contesto il Covid19 rappresenta un ulteriore fattore di esclusione e di isolamento che aumenta l’invisibilità dei bisogni e amplifica le disuguaglianze tanto sul piano sociale che su quello della salute.

Il tema della salute in contesti come quello della Capitanata non può essere affrontato senza intervenire contemporaneamente sulla precarietà abitativa e giuridica e sullo sfruttamento lavorativo. Non si raggiungerà mai una reale emersione finché non verranno forniti alle persone marginalizzate gli strumenti giuridici, ma soprattutto sociali per uscire dall’immobilismo in cui vivono da troppi anni.

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