NOTA SULLA PRESENZA ITALIANA IN IRAQ
Indirizzata
al Presidente del Consiglio ROMANO PRODI,
al Ministro degli Affari Esteri MASSIMO D?ALEMA, al Ministro della Difesa ARTURO PARISI
INTERSOS – 29 Maggio 2006
INTERSOS è stata operativa in Iraq fin dai primi momenti dell?occupazione militare, coordinando le attività con altre organizzazioni non governative (Ong) e con le Agenzie delle Nazioni Unite. Ha inoltre operato in vari contesti ove sono state possibili forme di collaborazione con le Forze armate. Riteniamo quindi di potere dare il nostro contributo alla definizione delle scelte politiche ed operative del Governo italiano sul tema.
Si tratta di un contributo che vorrebbe staccarsi dagli eccessivi protagonismi che stanno dominando la politica italiana e che rischiano di creare confusione e disorientamento su una questione che richiede invece approfondimenti, analisi, riflessione e senso di rispetto verso le molte vittime italiane, irachene e internazionali di questo conflitto.
POSIZIONI GIÀ DEFINITE E COMUNI IN SENO ALLE FORZE DI GOVERNO
Nonostante i diversi accenti ed enfatizzazioni, le posizioni comuni della coalizione del Governo dell?Unione sono molte e ben definite.
1. La guerra all?Iraq è stata un grave errore, si è basata su falsità per ingannare la cancellerie e l?opinione pubblica, ha violato la legalità internazionale e minato il principio della governance multilaterale, ha introdotto unilateralmente il principio della guerra preventiva che è al di fuori di qualsiasi ordinamento di diritto internazionale.
2. Anche se il Governo italiano ha partecipato alla missione militare solo a seguito della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, l?appoggio politico all?iniziativa anglo americana, in contrapposizione alla scelta multilaterale e alla prevalente posizione dei paesi europei, è stata una scelta altrettanto errata.
3. I gravi errori nella conduzione del dopo-guerra, come l?immediato scioglimento del partito Baath e delle Forze armate, il licenziamento dalle funzioni pubbliche degli iscritti al partito, la non assunzione di responsabilità nella tutela e gestione della cosa pubblica e del bene comune che il diritto internazionale assegna alle forze occupanti, la superficialità e il dilettantismo dimostrati nei primi dodici mesi di occupazione, il disprezzo della popolazione locale, l?arroganza e la brutalità dimostrata negli arresti e nel sistema di detenzione e di tortura, gli attacchi distruttivi e mortali sulla popolazione civile hanno presto alimentato il sentimento di opposizione e reso facile l?arruolamento nelle file del terrorismo.
4. La decisione del ritiro delle Forze armate italiane dall?Iraq è esplicitamente contenuta nel programma dell?Unione ed è stata convalidata dal voto degli italiani. Si tratta quindi ormai di una decisione vincolante, che segna la discontinuità ma che va attuata nei tempi necessari e in consultazione, come scritto nel programma, con il governo iracheno.
5. Tutti riconoscono, comunque, che l?Iraq del dopo Saddam è riuscito a portare a termine un importante cammino istituzionale che ha visto la partecipazione convinta della maggioranza della popolazione irachena nonostante le condizioni di insicurezza e di pericolo. Un cammino che ha dato speranza agli iracheni sebbene le difficoltà, i limiti e le divisioni lo abbiano rallentato e ne renderanno ancora difficile lo sviluppo.
RAFFORZARE IL CAMMINO DEMOCRATICO
Si tratta di un cammino che ha portato all?approvazione della costituzione, le elezioni politiche, la formazione del parlamento, la nomina del primo ministro, la formazione del primo governo democratico. Un cammino impensabile fino a pochi anni fa e che ora va decisamente appoggiato. Lasciare l?Iraq senza garantire il necessario appoggio a questo processo sarebbe un errore forse più grave dei tanti già fatti finora.
RIPARTIRE DALL?IRAQ
In Italia l?Iraq e il problema iracheno sono stati prevalentemente visti e affrontati con gli occhi di casa nostra: la partecipazione italiana in Iraq, la visibilità italiana, i militari italiani a Nassiriya e le loro storie, i progetti della cooperazione italiana, le vittime italiane, la generosità dai soldati italiani, i sequestrati italiani, la fine della missione italiana e l?ipotesi dell?avvio di una non ben definita presenza civile italiana e così via.
Occorre ribaltare questa impostazione. Il punto di partenza deve essere l?Iraq: la sua situazione, l?analisi dei suoi bisogni per rafforzare il processo istituzionale e la partecipazione democratica e per avviare senza esitazioni la ricostruzione, le possibili risposte a questi bisogni a livello nazionale, valorizzando le potenzialità locali, e a livello internazionale, le capacità di risposta da parte italiana e le modalità per poterle concretizzare.
PRIORITÀ DELL?IMPEGNO ITALIANO
Due, a nostro avviso, le priorità che devono vedere l?attiva partecipazione italiana:
1) il rafforzamento delle istituzioni e del processo democratico iracheno e
2) la ricostruzione economica e sociale dell?Iraq.
Si tratta anche delle previsioni enunciate nel programma dell?Unione, insieme ad una riaffermazione del valore del multilateralismo e del ruolo delle Nazioni Unite.
L?impegno italiano a sostegno dell?Iraq dovrà quindi essere pensato e programmato non isolatamente, ma inserito in uno sforzo multilaterale, ad iniziare dal concerto europeo.
ISTITUZIONI E PROCESSO DEMOCRATICO
Il rafforzamento del processo democratico, in questa nuova fase istituzionale, può avvenire solo con la rapida attenuazione, fino alla sua conclusione, della presenza militare straniera vista dagli iracheni, unanimemente e irrimediabilmente, come forza occupante. Non è quindi sulla forza militare che bisogna puntare, qualunque essa sia, ma sull?iniziativa politica di ampio respiro, inserita in un contesto di supporto multilaterale. Ed è proprio un nuovo sostegno multilaterale, dotato di legittimata autonomia e quindi non subalterno ai soli disegni delle forze occupanti, che può segnare la svolta agli occhi degli iracheni, dei paesi arabi e musulmani, dei paesi dell?area mediorientale e asiatica ridando vitalità e forza alle nuove istituzioni. Nuovo sostegno che permetterà forse di riparare gli errori commessi dall?Amministrazione occupante e di superare le esclusioni superficialmente decretate fin dall?inizio, togliendo così forza all?azione terroristica.
RICOSTRUZIONE ECONOMICA E SOCIALE
L?Iraq non può essere considerato un paese sottosviluppato. Si tratta di un paese con potenzialità economiche importanti e gli iracheni, se aiutati, hanno le capacità per potere direttamente assumere l?iniziativa e la responsabilità del proprio sviluppo. Le amministrazioni esistono e funzionano, le scuole e le università continuano a garantire formazione culturale, scientifica e tecnica, il sistema sanitario è diffuso, il sistema produttivo non ha mai smesso di rispondere ai bisogni anche se in modo limitato a causa del ritardo tecnologico e dei danni, deterioramenti, manomissioni e insicurezza, i media hanno acquisito spazi di libertà e indipendenza, la società civile sta cercando di organizzarsi e di esprimersi.
Le organizzazioni non governative che hanno dovuto ritirare il proprio personale internazionale hanno comunque continuato le attività sociali, culturali e di ricostruzione, con risultati tangibili, grazie al lavoro del proprio personale iracheno e dei partners istituzionali o sociali con cui collaborano.
È una via che può essere seguita, a maggior ragione, dallo stesso Governo italiano in questa nuova fase. Si tratta di un rapporto di cooperazione che valorizza gli iracheni e le loro potenzialità in una relazione di partnership programmata congiuntamente e che al tempo stesso rappresenta una sfida sul proprio futuro.
I ?PRT? INTERNAZIONALI VOTATI ALL?INSUCCESSO
I Provincial Reconstruction Teams (PRT), squadre di ricostruzione provinciali, hanno dimostrato il loro fallimento in Afghanistan dove, a supporto delle forze militari NATO sono state inserite figure tecniche civili per collaborare alle attività di ricostruzione a livello locale. La diffusione di squadre di militari e civili, sotto la tutela di personale e mezzi armati, per ricostruire scuole, ambulatori, strade, pozzi ha creato un generale clima di ambiguità e sospetto che rende ora difficile la presenza indipendente e neutrale delle organizzazioni umanitarie. Il personale umanitario che lavora non solo ?per? ma ?con? le popolazioni bisognose ricostruendo da sempre scuole, ambulatori, pozzi e tanto altro, senza altri fini che non quello della solidarietà, viene ormai confuso con il personale militare-civile dei PRT il cui fine ultimo – pur attraverso opere di ricostruzione – è il consolidamento della presenza militare o la sua benevola accettazione. L?inquinamento dello spazio umanitario è crescente, come cresce intollerabilmente il rischio che vengano a mancare alle organizzazioni umanitarie le condizioni per operare in modo neutrale, imparziale, indipendente e per potere essere riconosciute come tali.
Per l?Iraq è stata pensata una soluzione analoga, anche se ribaltata sotto la guida dei civili. Le Ong umanitarie e di cooperazione internazionale esprimono senza ambiguità il loro dissenso. Sarebbe l?avallo della commistione civile-militare già denunciata in Afghanistan. Commistione che non permette più alcuna distinzione e che mostra alle popolazioni un unico diffuso volto dell?azione di cooperazione, quello delle armi. È la via che porta inesorabilmente alla negazione del significato profondo dell?azione di cooperazione delle Ong ed in particolare della specificità dell?azione umanitaria.
IL RAPPORTO TRA ONG E MILITARI
Pur essendo contro la guerra e contro l?uso della forza come strumento per la soluzione dei conflitti internazionali, Intersos non rifiuta a priori la collaborazione con le Forze armate ove questa possa essere necessaria alla salvezza, alla tutela o all?aiuto delle popolazioni. Lo dimostra l?esperienza in paesi come la Somalia, la Bosnia, il Mozambico, il Kosovo, la RD del Congo, il Pakistan ed altri in occasione di catastrofi naturali o di interventi di mantenimento della pace sulla base di accordi internazionali. Condividiamo la recente richiesta di alcune grandi Ong umanitarie di una presenza armata delle Nazioni Unite per la tutela delle popolazioni del Darfur. Per potere avviare forme di collaborazione alcune condizioni vanno però rispettate. Tre in particolare: 1) deve trattarsi di presenza militare legittimata dal diritto internazionale e da accordi tra le parti in conflitto; 2) devono essere sempre chiare, riconoscibili e inconfondibili le diverse identità e specificità, quella umanitaria e quella militare; 3) la richiesta di supporto delle Forze armate alle azioni umanitarie o di ricostruzione deve derivare sempre dall?iniziativa autonoma e indipendente delle Ong sulla base delle specifiche esigenze delle popolazioni e mai da diverse decisioni o da finalità di ordine politico o militare.
Forme di collaborazione tra civili e militari che non possano garantire pienamente questi principi non possono essere prese in considerazione. E il contesto iracheno, oggi, non sembra possa dare alcuna garanzia in merito.
Nino Sergi, Segretario Generale di INTERSOS
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