Formazione

Internazionalizzazione: voto 5 meno

Si apre un nuovo anno scolastico con un forte debito che viene incassato dai professori nella pagella virtualmente stilata dai loro studenti. La materia è quella dell’internazionalizzazione della scuola e il voto è un severo 4,9.

di Redazione

 Almeno secondo le opinioni di 800 studenti delle scuole superiori intervistati da Ipsos  per il rapporto realizzato per l’Osservatorio nazionale dell’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca ideato e promosso dalla Fondazione Intercultura con il sostegno di Fondazione Telecom Italia.

E pensare che l’anno scorso, quando erano stati i presidi e gli insegnanti a essere intervistati, il giudizio dato al proprio operato era sicuramente più magnanimo: 6,3 e 6,7.

La scuola, giudicata dai suoi studenti, beneficia di una piena sufficienza per quanto riguarda la qualità dell’insegnamento (voto: 6,6). Ma quando poi si arriva a mettere un piede fuori dalle mura dell’istituto, la scuola italiana mette a nudo delle forti pecche agli occhi dei ragazzi: in primis la mancanza di conoscenza delle lingue straniere da parte dei docenti non di lingua (voto 5,4), un deficit che, va da sé, inibisce l’apertura alle collaborazioni con scuole estere (voto: 5,0)

In un sistema scolastico che sembra dunque autarchico, un segnale positivo arriva dagli stessi studenti: più coraggiosi di molti propri professori, non arrestano il proprio cammino autonomo: sempre più numerosi aderiscono infatti a programmi di mobilità individuale che prevedono da un trimestre a un intero anno scolastico all’estero. Nel 2011 la stima Ipsos del fenomeno era di 4.700 studenti, con una crescita del 34% rispetto al 2009,  nonostante la mancanza di una certezza di un sistema di valutazione condiviso delle competenze sviluppate. Quelle stesse competenze che i ragazzi riconoscono come il motore del loro futuro scolastico e lavorativo: capacità di ragionamento e critica nonché di problem solving, maggior senso di responsabilità, abilità nel relazionarsi con persone di culture diverse e di lavorare in gruppo.

Tuttavia, la forza propulsiva di internazionalizzazione voluta e intrapresa da questi adolescenti si arena nel cono d’ombra dell’élitarismo delle iniziative di mobilità, viste ancora come un fenomeno di nicchia (lo sottolinea il 63% dei ragazzi intervistati). Strutturalmente la scuola non è in grado di rispondere a livello quantitativo alla voglia di aprirsi al mondo: se, infatti, il 53% degli studenti afferma che la propria scuola ha organizzato almeno un’attività internazionale, a prenderne parte è meno del 40% di loro. Tra le attività organizzate più di frequente ci sono gli stage di studio all’estero (28%), i progetti di collaborazione con le altre scuole (26%), gli scambi di classe (25%). I motivi principali della mancata partecipazione degli studenti: il coinvolgimento di un numero limitato di classi (quasi il 50% delle citazioni) la scarsa disponibilità degli insegnanti (25%), la mancanza di motivazione del ragazzo (15%), l’alto costo (circa il 5%).

Ma cosa renderebbe più internazionale la scuola? Gli studenti non hanno dubbi: ai primi due posti l’opportunità di trascorrere un periodo all’estero (48%) e il sostegno da parte dei docenti (33%). Quello dell’insegnante, secondo i ragazzi, è difatti un ruolo primario sia per fornire le informazioni in merito alla possibilità di fare esperienze di studio a carattere internazionale (lo pensa il 77% degli intervistati), sia nell’incoraggiare lo studente a vivere tali esperienze. Peccato che, secondo i giovani intervistati, lo fa solo la metà dei loro professori (54% degli insegnanti di lingua e 45% di quelli delle altre materie) e ben il 10% li dissuade, addirittura.

Gli adolescenti, in un mondo globalizzato,  si scoprono più  tradizionalisti che intraprendenti: 27% vs 25%
Nell’anno dello spread, dunque, sono un numero considerevole gli studenti che decidono comunque di giocare la carta che li porterà all’estero per un anno e poi, forse per la vita.  Questi ragazzi, in particolare rappresentano a pieno titolo quella che la ricerca presentata oggi ha denominato la “Generazione i”, composta da adolescenti internazionali per necessità, bombardati dalle sollecitazioni senza confini di internet e dei social network, dalle trasmissioni televisive e radiofoniche poli-linguistiche e multiculturali, con l’i-pod in una mano e la valigia nell’altra. Sono pronti a muoversi con le loro gambe, spostandosi al di fuori dei confini nazionali senza indugi, per cogliere le opportunità esistenti, ma non disdegnano di viaggiare virtualmente, senza lasciare la scrivania della propria camera, aperti alle diverse sollecitazioni di un mondo sempre più cosmopolita.
Il problema è che non tutti i giovani sono così, anzi, la maggior parte sembra proprio non esserlo e preferisce rintanarsi nelle proprie sicurezze. Suddivisi da Ipsos in sei “cluster” ne deriva che sono di più quelli rappresentativi di un universo conservatore e tradizionalista (i conservatori e i demotivati) rispetto ai più intraprendenti (determinati e globetrotter): 27% contro 25%.

Nel mezzo stanno gli indecisi (i basici e gli individualisti, 22% e 26%), pronti a propendere da una parte o dall’altra, ma mai per decisione propria. Per questa generazione del 2012, diversa in tutto e per tutto da quella “yuppie” della fine dello scorso millennio sembra preferire rintanarsi nelle certezze costruite dai genitori. La lingua straniera? E’ solo una materia, più che un mezzo di dialogo. I valori più importanti? Famiglia (65%) e amicizia (58%), tanto… il successo (9%) non arriva.

La scuola? Servirà a ben poco per costruirsi un futuro lavorativo, visto che in Italia il lavoro si trova solo per conoscenze (lo pensa un ragazzo su tre). Sconsolata e sfiduciata preferisce rintanarsi nella bambagia della propria parrocchia che sfidare la sorte e partire per mete sconosciute alla ricerca del proprio futuro. Dalla ricerca emerge che, tra i ragazzi, sono molto di più i "tradizionalisti", cioè quelli più legati al loro territorio, alla sicurezza della propria schiera di amici, rispetto agli "intraprendenti" , cioè , appunto, gli studenti che si dicono pronti a partire, a conoscere persone di altre culture, a leggere, ascoltare, vedere libri, film, canzoni in una lingua diversa rispetto all'italiano, che sono solo il 25% del totale. E’ la generazione del “vorrei ma non me la sento”: desiderano una scuola internazionale, ma solo il 2% si afferma di aver studiato/star studiando per un periodo all’estero e, se proprio si decidono a fare questo grande passo, preferiscono la cara e vecchia Inghilterra invece che azzardarsi a solcare l’oceano e arrivare in Asia o in America Latina, amano i viaggi, ma solo il 36% si dice disposto a vivere all’estero per trovare lavoro. 
 

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