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Intelligenza Artificiale: una carta etica per non escludere l’uomo
Con lo sviluppo tecnologico cresce il rischio di una società sempre più disuguale, asimmetrica, svuotata di senso e governata dagli algoritmi. Per questa ragione, spiega monsignor Vincenzo Paglia della Pontificia Accademia per la Vita, «è urgente un'etica per l'Intelligenza Artificiale». Il primo passo è una carta d'intenti firmata nelle scorse ore a Roma da Microsoft e IBM
di Marco Dotti
È possibile un'etica per l'Intelligenza Artificiale (AI)? Non solo è possibile, ma è necessaria. Non per contenere, ma per orientare le sfide dell'AI propriamente umano. È quanto emerso dal convegno RenAIssance. Per un'Intelligenza Artificiale umanistica promosso venerdì scorso dalla Pontificia Accademia per la Vita. Convegno a cui hanno preso parte, tra gli altri, Brad Smith, presidente di Microsoft, John Kelly III, vice direttore esecutivo di Ibm, il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli e il direttore generale della Fao Qu Dongyu.
Organizzata e fortemente voluta da monsignor Vincenzo Paglia, che presiede l'Accademia, su indicazione di Papa Francesco, la giornata di studio ha portato due dei principali attori di questo settore, Microsoft e Ibm, a firmare una Call for Ethics che vuole aiutare le aziende in un percorso di valutazione degli effetti delle tecnologie collegate all'Intelligenza Artificiale, dei rischi che comportano, di possibili vie di regolamentazione, anche sul piano educativo.
Occorre un’etica che rifletta sui criteri che sottendono la progettazione stessa degli algoritmi e sulle responsabilità di chi opera nei singoli stadi della loro produzione
monsignor Vincenzo Paglia
«Siamo impegnati in questo settore», spiega mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, perché «con lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale il rischio è che l'accesso e l'elaborazione diventino selettivamente riservate alle grandi holding economiche, ai sistemi di pubblica sicurezza, agli attori della governance politica. In altri termini, è in gioco l'equità nella ricerca di informazioni o nel mantenere i contatti con gli altri, se la sofisticazione dei servizi sarà automaticamente sottratta a chi non appartiene a gruppi privilegiati o non dispone di particolari competenze».
Dobbiamo riconoscere all’etica un ruolo non solo quando il prodotto è “fatto e finito”, quando ormai non resta altro da fare che (tentare di) regolarne l’uso. L’esperienza ci dice che questo intervento dell’etica “a giochi fatti” risulta quasi inutile
monsignor Vincenzo Paglia
Ma queli sono le sfide poste dall'Intelligenza Artificiale? Nel suo intervento conclusivo, monsignor Paglia osserva che «queste tecnologie solo come strumenti per svolgere alcune funzioni in modo più rapido ed efficiente», ma «cambiano il nostro modo di essere al mondo, di comprendere la realtà e noi stessi, ponendo domande radicali sull’identità del soggetto umano».
Spesso non ci rendiamo neanche conto che interagiamo con sistemi automatici o che disseminiamo sulla rete informazioni che riguardano la nostra identità personale, per cui, spiega monsignor Paglia, «si produce una grave asimmetria tra chi estrae i dati (per i propri interessi) e chi li fornisce (senza saperlo). La strumentazione dell’IA è capace di determinare vere e proprie forme di controllo e orientamento delle abitudini mentali e relazionali. Appare ormai chiaro che “l’umano” è condizionato in modo tale da “assecondare” il dispositivo di IA, molto più del contrario. Il feed-back caratteristico dell’IA è l’alimentazione e la sofisticazione di questo meccanismo selettivo di conformità sociale al dispositivo. Questa è una seria minaccia per l’esercizio effettivo della libertà di scelta anche sul piano politico e quindi per la vita delle società democratiche».
Dentro questo scenario, è necessario capire quale etica dobbiamo sviluppare per avere un impatto reale sulla tecnologia, al fine di «evitare che l’uomo venga tecnologizzato invece che la tecnica umanizzata». Il rischio della cosiddetta algocrazia – il potere degli algoritmi – è sempre più reale.
Per questo, spiega il Presidente della Pontifica Accademia per la Vita, «dobbiamo riconoscere all’etica un ruolo non solo quando il prodotto è “fatto e finito”, quando ormai non resta altro da fare che (tentare di) regolarne l’uso. L’esperienza ci dice che questo intervento dell’etica “a giochi fatti” risulta quasi inutile, (…) occorre perciò un’etica che rifletta sui criteri che sottendono la progettazione stessa degli algoritmi e sulle responsabilità di chi opera nei singoli stadi della loro produzione».
È questo un compito che nessuna componente della società può svolgere da sola, ma richiede disponibilità al dialogo, alla collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti, alla considerazione degli interessi altrui, talvolta anche rinunciando a far valere i propri.
Anche l’agire personale, nell’inestricabile intreccio tra vita umana e universo digitale conclude Paglia, «esige un’interpretazione più articolata: trovandosi al punto di intersezione tra apporto del soggetto e calcolo automatico risulta infatti sempre più complesso comprenderne l’oggetto, prevederne gli effetti, definirne le responsabilità».
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