Economia

Integrazione, ora si parte. Così la 328 diverrà realtà

Welfare sanitario: viaggio nelle regioni alla ricerca delle buone pratiche. Qui Lazio

di Redazione

Appuntamento a dopo Natale. La Regione Lazio imbocca definitivamente la via per l?integrazione socio-sanitaria dell?intervento ed è lo stesso assessore alle Politiche sociali, Alessandra Mandarelli, a fissare l?agenda: «Dopo l?approvazione della Finanziaria, metteremo nero su bianco il lavoro condotto in questo periodo da un pull di tecnici. Data la vastità dell?argomento, ci stiamo concentrando su 4 o 5 settori di intervento per i quali cercheremo di coordinare dall?alto le attività che finora non sono state sistematizzate a livello territoriale». L?obiettivo è quello di «diffondere e rendere istituzionali questo tipo di pratiche, finanziando l?operato delle Asl, che ad oggi non sono in grado di garantire percorsi di cura alternativi all?ospedalizzazione». Come a dire: la 328 è rimasta solo sulla carta e poco è stato fatto per avviare tavoli di coprogettazione delle politiche sanitarie. Una verità condivisa anche da Sebastiano Capurso, presidente di Cir – Cooperativa sociale infermieri riuniti), una delle cooperative che da tempo si batte per promuovere l?integrazione dei servizi socio-sanitari sul territorio. «Ad oggi non c?è stato alcun interesse da parte delle istituzioni nell?applicare la 328. Si è sempre ragionato sul rapporto tra pubblico e privato e i progetti innovativi della cooperazione non hanno avuto alcun riscontro. Anzi i pochi approvati non sono stati ancora rimborsati». Eppure, negli anni, sono state presentate diverse proposte di intervento nel solco dell?integrazione. Esperimenti virtuosi È il caso della ?cartella virtuale? personalizzata. Una sorta di database con la situazione aggiornata dei casi di assistenza domiciliare, che il Cir ha messo gratuitamente a disposizione di tutte le Asl. Finora il progetto è stato predisposto su 2.800 pazienti di Roma, ma è stato adottato solo da 2 Asl per meno di 400 soggetti. «È un esperimento innovativo, perché finora nessuno ha mai avuto un?anagrafica degli assistiti aggiornata in tempo reale», spiega Capurso. «Con un semplice palmare il medico o l?operatore possono comunicare le condizioni del soggetto direttamente alla centrale operativa della Asl, che così può monitorare costantemente le condizioni del suo utente e eventualmente prescrivere analisi specialistiche o particolari interventi in rete. A questo strumento abbiamo affiancato un protocollo di dimissione controllata che permette di attivare immediatamente i servizi di assistenza socio-sanitaria territoriale per quei pazienti appena usciti dall?ospedale che non hanno ancora acquistato la totale autonomia. Finora però tutto questo rimane sulla carta, perché ad oggi saranno al massimo una trentina i casi gestiti». Insomma, poco interesse da parte delle istituzioni e poca organizzazione sul territorio. Tendenza che si manifesta anche per quelle strutture flessibili di supporto al tradizionale ospedale. Sia a Roma che nel resto della regione, gli Hospice e le Rsa sono completamente in mano al privato e, di fatto, del tutto fuori dalle dinamiche di rete territoriale. Così il Cir ha presentato un progetto innovativo di struttura per il sostegno di pazienti in stato vegetativo, con un occhio al coinvolgimento delle famiglie e degli enti locali. Il Suap – Speciale unità di accoglienza permanente, così si chiama questo tipo di residenza, è già molto diffuso al Nord Italia, dove ha abbattuto di un decimo i costi della normale rianimazione in ospedale. «L?obiettivo è quello di seguire il paziente cronico fino al termine della vita, cercando di evitare l?inutile accanimento terapeutico», spiega Capurso. «Così sono garantite competenze e organizzazione degli spazi al fine di agevolare il recupero della coscienza attraverso la regolazione degli stimoli. Inoltre l?organizzazione prevede la formazione delle famiglie che diventano parte integrante del processo curativo, nonché la partecipazione dei servizi comunali deputati all?assistenza sociale anche attraverso un contributo economico giornaliero. Per adesso la nostra cooperativa ha la possibilità di aprire tre strutture del genere per 150-200 casi, ma ad oggi non abbiamo avuto risposte da parte della Regione». Territorio protagonista Più fortunato invece è stato il progetto Ospedale virtuale, avviato a Ostia e Viterbo dalla cooperativa Il Solco, che gestisce 40 pazienti direttamente tra le mura domestiche. «Abbiamo creato una sorta di sistema preventivo alla non autosufficienza», spiega Mario Monge, presidente di Solco Roma. «Prendiamo in carico specifiche categorie di pazienti ai quali garantiamo le stesse cure dell?ospedale, ma direttamente a casa, con in più il supporto psico-sociale di operatori qualificati. L?Asl paga la retta per non più dei 60 giorni stabiliti per legge, al termine dei quali, se il paziente non ha raggiunto la totale autonomia, si fa ricorso alle strutture ospedaliere per accertamenti e cure più specialistiche. In questo modo noi possiamo abbattere di quasi sette volte i costi fissi di una normale degenza ospedaliera garantendo servizi più flessibili e personalizzati». Perché il traguardo è uno solo: «Riuscire ad applicare le linee guida della legge», conclude Monge, «cioè creare un sistema con l?ospedale come centro di eccellenza per le cure specialistiche e innovative e, invece, demandare al territorio la fase assistenziale e riabilitativa del paziente».


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