Welfare

Integrazione in salita: un quarto dei nati all’estero si sente discriminato

Fadda, presidente Inapp: “La condizione socio-economica dei nati all’estero è peggiore rispetto ai nativi, con tassi di povertà relativa elevati, 30% contro il 18%, e condizioni abitative precarie. Le condizioni di svantaggio sono più evidenti nelle regioni del Sud e per le donne in particolare nel lavoro, con più bassi livelli di occupazione e più alti tassi di sovraqualificazione lavorativa. Da questi dati che certificano una situazione di pronunciata disuguaglianza bisogna partire per individuarne le cause ed elaborare proposte per rimuoverle”

di Redazione

Quasi un quarto dei nati all'estero sente di appartenere a un gruppo sociale duiscriminato e percepisce un limitato senso di appartenenza verso l'Italia. Di contro, 4 autoctoni su dieci sono preoccupati per la cultura del Paese e le condizioni di vita, messe in discussione dalle persone provenienti da altri paesi.

È una delle principali evidenze che emerge dal Rapporto sull'integrazione dei cittadimi di origine straniera pubblicato dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) insieme al Ministero del Lavoro e presentato oggi nel corso del convegno “L’integrazione delle persone di origine straniera”, cui ha preso parte, tra gli altri, Maria Teresa Bellucci – vice Ministro del Lavoro – ed Elena Grech – vice direttore Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. L’indagine analizza il processo di integrazione attraverso le dimensioni dell’istruzione, lavoro, inclusione sociale, condizioni di vita.

Se si osservano gli indicatori relativi all’acquisizione della cittadinanza e quello relativo all’ottenimento dei permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo si nota come nel Nord, dove maggiore è la presenza di immigrati, risultano essere più basse le acquisizioni di cittadinanza italiana, ma è maggiore, rispetto alle realtà meridionali e insulari, la quota di cittadini stranieri che hanno ottenuto un permesso di soggiorno di lungo periodo, condizionato, oltre che dal possesso quinquennale di un permesso di soggiorno, da determinati parametri reddituali e abitativi.

“Complessivamente – ha affermato il prof. Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp – si delinea una condizione socio-economica dei nati all’estero peggiore rispetto ai nativi, con tassi di povertà relativa elevati, 30% contro il 18%, e condizioni abitative precarie. Le condizioni di svantaggio della popolazione immigrata sono più evidenti nelle regioni del Sud per molti aspetti, e per le donne in particolare nel lavoro, con più bassi livelli di occupazione e più alti tassi di sovraqualificazione lavorativa rispetto agli uomini. Da questi dati che certificano una situazione di pronunciata disuguaglianza bisogna partire per individuarne le cause ed elaborare proposte per rimuoverle”.

Nella ricerca si evidenzia inoltre come in Italia attualmente i cittadini di Paesi terzi residenti sono circa 3 milioni e 500 mila, in aumento rispetto al 2021 di quasi il 6%, anche per effetto del conflitto in Ucraina. Tra la popolazione nata in un Paese non comunitario prevalgono, rispetto ai nativi di un altro Stato membro, un maggior senso di appartenenza all’Italia, una maggiore propensione all’acquisizione di cittadinanza, ma anche una più alta identificazione con un gruppo discriminato. Il tasso di attività medio tra gli stranieri risulta essere leggermente più alto (64,7%) rispetto ai cittadini italiani (63,2%), con livelli più bassi al Sud e nelle Isole per tutti i gruppi osservati. Considerando la forza lavoro degli stranieri non comunitari il tasso di occupazione al Sud supera la soglia del 60%, mentre tra i comunitari e tra i cittadini italiani si attesta a poco più del 50%. Al nord si registra una situazione inversa: la quota di forze lavoro rispetto alla popolazione di riferimento è maggiore tra i cittadini italiani che tra gli stranieri.

Rispetto al genere, si registra ovunque una netta prevalenza del tasso medio di attività della componente maschile (circa il 79%), rispetto a quella femminile (47%). La differenza tra le due componenti è massima nella regione Veneto (43,6%), dovuto all’altissima percentuale della quota di forze lavoro degli stranieri non comunitari e minima nella regione Umbria. Il tasso di disoccupazione dei cittadini stranieri, in modo analogo tra comunitari o provenienti da paesi extra UE, si attesta intorno al 15% ed è superiore a quello dei cittadini italiani. La quota di contratti a termine tra i lavoratori extra UE raggiunge il 27,8% contro il 22% rilevato tra gli stranieri comunitari e il 16% tra i lavoratori di cittadinanza italiana. Aspetto peculiare dei lavoratori stranieri è l’elevata sovraqualificazione lavorativa, dove il genere pesa in modo molto diverso tra cittadini stranieri comunitari ed extra UE: la situazione è peggiore per i maschi comunitari, mentre è nettamente a sfavore delle femmine tra i non comunitari.

“Per ampiezza e affidabilità delle fonti questo rapporto è un unicum ispirato alla modellistica internazionale – ha chiosato Fadda – e sarebbe auspicabile che il nostro Paese mettesse a regime la produzione ciclica di analisi con medesime caratteristiche. Il problema delle diseguaglianze che colpiscono la popolazione di origine straniere su molti aspetti della vita sociale pone problemi molto complessi sia sul piano della stessa definizione concettuale di “integrazione” sia su quello della elaborazione di appropriate strategie capaci di promuoverla. Ma si tratta di sfide da affrontare non solo per ragioni di giustizia e di equità, ma anche perché da esse dipendono coesione sociale, progresso economico e benessere della popolazione”.

La ricerca integrale a fondo pagina negli Attachements

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