Non profit

Integrazione è il kebab di bovina piemontese

di Redazione

A Cesena s’è svolta la festa dei cibi di strada. E io ancora conservo il ricordo e il sapore del Borlengo, pasta soave riempita di un condimento di carni suine saporose. Ho incontrato anche Monsù, il re dei fritti di origine napoletana e una decina di altri artigiani che proponevano arancini, panzanelle, piadine, pizze, tigelle e quant’altro esce dalla fantasia di una storia. C’era anche il cous cous, quello di pesce, di origine siciliana, mentre a Cesena il piatto di strada è il cartoccio di pesci fritti.
Oggi più passa il tempo e più il cibo di strada sta diventando appannaggio di altre etnie, quasi che il benessere ci abbia privato di questo piacere. Eppure sarebbe attuale. Nelle prossime settimane celebreremo l’uscita del Golosario, la mia guida alle cose buone d’Italia dove il cibo di strada più gettonato rimane il gelato. E a Golosaria a Milano, prendendo lo spunto da una dichiarazione del ministro per le Politiche Agricole, Luca Zaia, parleremo di integrazione alimentare di fatto, ossia della possibilità che anche le più succulente ricette etniche che stanno facendo breccia tra i nostri giovani siano realizzate con materie prime italiane. Non è una chimera. A Torino ad esempio c’è chi fa il kebab con la carne del Co.Al.Vi. quella di razza bovina piemontese, mentre il sushi si può interpretare col tonno di Carloforte. Ma anche il cous cous, che è un piatto mediterraneo, può essere fatto col grano di casa nostra. La sfida che può partire come esempio virtuoso è ben questa: fare i conti con l’agricoltura di un grande Paese. Persino la birra sta seguendo questo percorso. E l’ultima, eccezionale, che abbiamo assaggiato era di Casoli, in Abruzzo. Il giovane Massimiliano Di Prinzio la prepara con il miele di sua produzione (a pochi chilometri c’è Tornareccio, una delle capitali del miele di qualità), ma anche con il grano italiano senatore Cappelli oppure col grano Solina, o col farro. E che soddisfazione sentire le differenze, che sono uno schiaffo all’omologazione. Già, integrazione può fare rima, volendo, con valorizzazione. E, un giorno, con tradizione.

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