Gualtiero ha 59 anni. Gli ultimi 30 anni li ha passati in carcere e ne deve scontare ancora 15. Ma è fuori, in articolo 21. Di giorno va fuori a lavorare e studiare e di sera rientra in cella. Si sta laureando.
La settimana scorsa a un convegno all’università Bicocca è intervenuto: «Io credo che il lavoro di voi educatori, e non solo il vostro, debba basarsi su dubbi e insicurezze. E’ solo quando credete di essere certi che state sbagliando allontanandovi sempre più dalle persone che vi stanno davanti». Proviamo a pensarci.
Mike ha appena festeggiato il suo compleanno dentro e di anni gliene rimangono ancora troppi da scontare. Fine pena mai. «Quando ero fuori mi sentivo forte e sicuro. Non avevo paura di nulla. Da quando lavoro nella sartoria qui in carcere ho tempo per riflettere. Molte volte ho paura e troppe volte non so nulla. Ma voglio andare avanti. Ho imparato che la vera forza è il cuore e certamente non sono i muscoli».
Anche Xiaoliang è un ragazzo del nostro laboratorio in carcere. A lui di anni gliene mancano ancora 15. Appena arrivato parlava poco, non stava mai con gli altri. Lui mi insegna cinese e io a lui l’italiano. «Mio figlio crede che il suo papà sia al nord a lavorare. Come faccio a dirgli che sono qui in carcere? Mia moglie se ne è andata e ha fatto bene. Quando ero fuori mi comportavo sempre male. Come può una persona accettare una vita così? Credevo di essere forte, ma solo ora capisco che non era vero. Da quando lavoro ho tanti dubbi ma non penso mai a cose brutte. E’ la prima volta. E mi piace».
Gabriele, 45 anni, mezzo dentro e mezzo fuori in articolo 21, a 25 anni dall’omicidio si domanda ancora «Come è potuto accadere che io sia stato così crudele da uccidere? Le parole non basteranno mai a rappresentare il mio rimorso e la mia frustrazione. Ma ora ho un obiettivo, fare di tutto affinché altri giovani non commettano i miei stessi errori. Non so spiegare a parole quanto oggi sarei capace di fare e sto facendo per rifarmi una vita, e per rendermi utile alla società».
Federica Dellacasa è la mia socia e presidente della cooperativa sociale Opera in Fiore con la quale lavoro dentro e fuori. E’ lei che segue i percorsi formativi. «Fuori anche dove c’è ricchezza e abbondanza viviamo isolati l’uno dall’altro, come se fossimo delle isole. Dentro c’è invece un desiderio del fuori che non risponde alla realtà. Oggi l’urgenza è far incontrare questi due mondi, in modo che queste isole, separate una dall’altra, diventino arcipelaghi».
Come? Io so di non sapere. Diceva Socrate. «Partendo dal basso». Mi suggerirebbe Gualtiero. Certamente non possiamo chiamarcene fuori, perché l’altro, quello che ci sta davanti – in carcere dentro o per strada fuori – sono io, mi fa da specchio.
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