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Insegno ai giovani la virtù dell’arroganza
Un medico-scrittrice, che ama la libertà di pensiero
«Dobbiamo riportare la parola al suo significato: affermare. Io mi arrogo il diritto di dire. È la risposta a chi ci impone
di non pensare. Una risposta affascinante» E se si ricominciasse da loro? Dai ragazzi. Dal loro bisogno di vedersi vivere nelle storie fantastiche e visionarie dove succede di tutto e tutto si risolve come per magia? Una magia che può essere la mano ferma e sensibile di Silvana De Mari, autrice del libro per ragazzi Il gatto dagli occhi d’oro, che racchiude una storia illuminante in questo senso: un libro nato per i ragazzi che dovrebbero leggere anche gli adulti per re-imparare le fondamenta del vivere in comunità, del vivere per se stessi, con l’anima scoperta; per assaporare il miracolo di leggere tra le righe la ragion d’essere degli eventi della storia piccola o con la maiuscola che sia, la loro positività o la loro atrocità. Come quella che irrompe come un punto esclamativo tra tanti puntini di sospensione, l’orrore che non si vorrebbe dire per la certezza che non si dovrebbe fare: la pratica dell’infibulazione.
Vita: Nel suo libro un gruppo di ragazzini imparerà, giorno per giorno, attraverso il racconto di un anno di scuola, l’accettazione e la condivisione fino al punto di riuscire a comprendere l’orribile realtà dell’infibulazione inferta ad una compagna di Leila, la protagonista del romanzo. Quando ha sentito l’esigenza di raccontarlo e per giunta a dei ragazzi?
Silvana De Mari: Sono un chirurgo e ho lavorato anche in Etiopia. Ho visto per la prima volta un’infibulazione all’ospedale di Bushulo, in Etiopia, un posto bellissimo sulle rive di un lago circondato da canneti. Le sale operatorie erano african style, vale a dire un unico stanzone con quattro lettini e grandi finestre chiuse da zanzariere. A causa dell’infibulazione rifatta dopo il parto, una giovane donna non riusciva più ad espellere il sangue mestruale. Quello che ho visto e dovuto fare come chirurgo è stato atroce, ricordo gli avvoltoi che attirati dall’odore di morte erano venuti a sbattere contro le zanzariere. La donna sarebbe morta di lì a poco per infezioni urinarie ricorrenti e insufficienza renale. Aveva dieci anni meno di me ed era stata condannata a morte non da un cancro, non da nemici che l’avevano aggredita, ma dalla “sua civiltà”. Mentre cercavo di far evacuare il più possibile quella roba nerastra mentre gli avvoltoi alle mie spalle si avventavano contro le zanzariere, pazzi per quell’odore di morto, di putrefatto, che invece veniva da ventre vivo di una donna, io ho giurato che avrei combattuto per le donne e le bambine. La mia battaglia comincia oggi, con questo libro, e non si fermerà fino a quando le mutilazioni sessuali esisteranno.
Vita: Una battaglia che lei vuol condividere con i ragazzi?
De Mari: Esatto. Lo scrivo in un libro per ragazzi perché sono straordinari. Perché straordinaria è la letteratura fantastica, che permette di affrontare qualsiasi tema con leggerezza, parola straordinaria che non ha nulla a che vedere con la banalizzazione o la superficialità. Ed è proprio per questo che la letteratura fantastica è nata: per poter parlare delle tragedie del mondo ai ragazzi che in quel mondo dovranno vivere.
Vita: Lei si definisce un medico che scrive. Ci spiega perché?
De Mari: Perché essere medico mi ha permesso di capire cose sulla vita e sulla morte. Perché molti pazienti mi hanno fatto l’onore di raccontarmi la loro storia. Perché spero che i miei libri portino consolazione. Perché il fatto di essere medico mi spinge a scrivere per un tipo particolare di lettore che diventa un paziente, perché ne abbia consolazione. Ed è questo il motivo per cui la morte di personaggi amati è così presente nei miei libri. Perché la morte nella vita reale esiste e tutti noi siamo destinati ad affrontare la morte di persone amate. Tutti noi siamo destinati a morire. Se nei libri muoiono solo i personaggi odiosi, quando a un ragazzo muore la madre, l’inevitabile domanda sarà: «Cosa aveva fatto di male la mamma?». Se un ragazzo sarà a sua volta rinchiuso in un reparto di oncologia, la domanda sarà: «Cosa ho fatto io di male?».
Vita: Lei dice di essere arrogante e intollerante, qualità di cui va fiera. Qualità per un medico un po’ bizzarre, non le pare?
De Mari: Per nulla. Qualità indispensabili non solo a fare il medico, ma l’essere umano. Socrate, Gesù Cristo, Gandhi e Martin Luther King sono tutti leader intolleranti. Profeti disarmati, ma leader intolleranti, talmente intolleranti che è stato necessario ammazzarli perché se ne stessero buoni. Chi tollera tutto e il contrario di tutto è un connivente. Chi non si arroga il diritto di dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. E qui si arriva alla parola arroganza: riportiamola al significato etimologico: affermare. Io mi arrogo il diritto di dire. L’arroganza è la negazione del pensiero debole e il pensiero debole è l’ulteriore evoluzione del bis pensiero descritto da Orwell in 1984. Con il pensiero debole si passa dal bis pensiero orwelliano al non pensiero: non pensiamo niente, così siamo più buoni e nessuno si offende per quello che pensiamo. La lapidazione dell’adultera e l’infibulazione sono “comportamenti”. Come possiamo criticarli?, cinguettano gli antropologi politicamente corretti. Con l’arroganza: arroghiamoci il diritto di dire che torturare innocenti è uno schifo e chi lo fa sta sbagliando.
Vita: In una nota del libro invita i ragazzi all’ottimismo, facendo delle proporzioni sui numeri dei morti da che esiste il mondo. «Ragazzi non siamo mai stati così bene», scrive e spiega perché. L’ho trovato geniale. Perché è così difficile educare ad ampliare la propria prospettiva sul mondo?
De Mari: Perché il vittimismo è una tentazione mortale che ci spinge verso il peggio in cambio della squallida soddisfazione di sentirci superiori ai nostri simili. L’umanità è straordinaria e ha fatto passi straordinari. Siamone fieri e ne faremo degli altri.
Vita: Di quali strumenti hanno bisogno i nostri ragazzi, oggi?
De Mari: Intolleranza, arroganza, fede e ottimismo. Per carità, usciamo dal post moderno, o i nostri figli andranno a morire a 16 anni di overdose a un rave party, per non sentire la percezione del nulla che noi abbiamo imposto.
Vita: Il suo libro è spesso percorso da sottili epifanie che si rivelano dei piccoli o grandi miracoli. Qual è il miracolo a cui lei ha assistito nella sua vita personale e di medico?
De Mari: Uno solo? Ne ho troppi. Se potessi riassumere la mia vita userei il verso di una vecchia canzone: «Grazie alla vita, che mi ha dato tanto». Tantissimo. Un’infinita profusione di doni. Mio padre, mia madre, mia sorella, mio marito, le mie nipoti, mio figlio, i miei pazienti, gli amici, i vicini di casa. il cane. Il mio lavoro. la mia casa. Ho un frutteto e so potare. Voglio che le stesse cose, tutta la libertà, tutto l’amore, tutta la ricchezza ce l’abbiano tutti.
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