Formazione

Insegnanti: la strada per valutarli

Forse l’insegnamento è l’ultimo “mestiere” dove come si entra si esce senza alcuna possibilità di carriera, si progredisce solo per anzianità. Il merito non conta: invertire la rotta si può

di Giovanni Biondi

Ritorna periodicamente il tema della valutazione degli insegnanti e del loro reclutamento. Termine quest’ultimo di origine “militare” che poco si adatta alla scuola: dovremmo semplicemente parlare di percorsi di assunzione. Comunque il tema più rilevane è certamente quello della valutazione e, collegato a questo, della carriera. Forse l’insegnamento è l’ultimo “mestiere” dove come si entra si esce senza alcuna possibilità di carriera, si progredisce solo per anzianità: più anni di lavoro si hanno, maggiore, anche se in modo molto relativo, è la retribuzione. Il merito che ogni insegnante è impegnato a valutare ogni giorno in classe non lo riguarda direttamente; una volta entrato di ruolo e superato l’anno di prova si diventa non solo inamovibili ma non si hanno incentivi economici per migliorarsi: tutto è lasciato alla propria iniziativa. Le piccole progressioni economiche avvengono infatti solo con l’avanzare dell’età, in modo automatico. Un appiattimento che certamente non aiuta i percorsi di miglioramento e neppure l’innovazione che invece è fondamentale per la scuola.

Gli insegnanti sono centinaia di migliaia e questo fa della valutazione un’impresa quasi impossibile. Ma ancora più difficile è definire cosa e come valutare un insegnante dato che le competenze che dovrebbe avere sono numerose ma soprattutto varie. Laureati pieni di titoli e master che conoscono la loro materia risultano poi “sul campo” pessimi insegnanti perché non sanno stare con i ragazzi, magari mancano di empatia, di autorevolezza, sono incapaci di stabilire un rapporto con i loro studenti o magari non sanno progettare attività che non siano la semplice lezione frontale. Non basta conoscere la propria materia così come, al contrario, non si può coinvolgere, motivare gli studenti su materie che si conoscono solo marginalmente, cosa purtroppo frequente tra le 80 classi di concorso ancora attive nella scuola italiana. Da questo quadro emerge la difficoltà di valutare gli insegnanti ma anche la certezza che non si possa fondare uno sviluppo di carriera sul numero di titoli accademici acquisiti. La valutazione di un insegnante si fa certamente sul campo, in classe ma non solo. La capacità di fare squadra è, ad esempio, molto importante per poter contribuire al miglioramento della propria scuola ma anche per costruire quei percorsi di superamento delle barriere disciplinari che comportano progettazioni comuni e collaborazioni didattiche tra materie diverse.
Se quindi mettiamo insieme il numero degli insegnanti con la molteplicità delle competenze che si richiede ad un insegnante si capisce come sia difficile la valutazione di ogni singolo insegnante. Poiché inoltre la valutazione è di per sé un tema “spinoso” si cercano in genere delle scorciatoie che evitano di valutare ma si basano ad esempio sulla conta dei titoli, dei corsi di aggiornamento o delle attività aggiuntive all’insegnamento che il docente ha fatto. Il merito in questo modo non si affronta ma si nasconde dietro parametri “oggettivi”: il numero di lauree, di master, di corsi etc….

Se vogliamo usare la valutazione come leva del cambiamento di un sistema “inerziale” come la scuola, dobbiamo legare la valutazione dei singoli ai risultati della scuola. Le scuole sono valutabili nei loro risultati oltre che nella loro capacità di miglioramento. Ai risultati della scuola concorrono tutti i docenti oltre al dirigente scolastico. Se fossimo in grado di valutare le scuole non solo sui risultati degli apprendimenti ma su una più ampia serie di indicatori, attraverso équipe “autonome ed indipendenti” che periodicamente visitano le scuole e ne valutano anche la capacità di miglioramento, allora potremmo creare un meccanismo premiale anche per i docenti che hanno contribuito a quei risultati. Questo tipo di valutazione spingerebbe gli insegnanti a collaborare tra loro, a progettare insieme oltre che ad aggiornarsi, isolerebbe anche i più restii al cambiamento e orienterebbe tutto il gruppo docente verso obiettivi comuni. Naturalmente poi questi risultati, positivi o negativi, ogni insegnante se li porterebbe dietro nel proprio portfolio professionale e la stessa cosa vale per i dirigenti scolastici.
Quello che è certo è che dobbiamo uscire da percorsi burocratico-amministrativi ed affrontare finalmente il merito senza girarci intorno per cercare di eluderlo: la qualità degli insegnanti e la capacità dei dirigenti scolastici sono alla base dei risultati della scuola.

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