Non profit

Innse, la rivincita delle tute blu

La fabbrica milanese che doveva chiudere ha ripreso a pieno regime. Grazie sopratutto a chi ci lavora

di Redazione

di Daniele Bettini

 

«Una macchina ferma è morta. Più sta ferma più muore, se sta ferma tanto non la resusciti più», Vincenzo Acerenza, operaio

«Quando sono rientrato, mi è sembrato di tornare a casa». Stefano Blasi della Rsu ricorda così il ritorno alla “normalità” dell’Innse Presse di Milano, «la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di risistemare l’officina». Camozzi, l’imprenditore che ha rilevato l’azienda, ha fatto riverniciare tutti gli interni e a dicembre «abbiamo incominciato a lavorare su una commessa per l’Ansaldo Sistemi Industriali, piani Stolle per macchine utensili, per qualche milione di euro, consegnati puntualmente.  Adesso stiamo realizzando degli otturatori, in generale credo che ci sia l’intenzione di orientarsi sul settore energetico, ma il mercato non si è ancora ripreso e poi il nome Innse va ricostruito». Tornano alla mente le parole di Vincenzo Acerenza – uno degli operai saliti per protesta sul carroponte -, bofonchiate lo scorso agosto fuori dai cancelli, quando dentro la fabbrica c’erano gli operai di Genta, il vecchio padrone, il rottamatore, pronto a far smontare i macchinari per rivenderli come ferri vecchi: «Qui se vinciamo, se ci va bene, vinciamo un posto da metalmeccanico e torniamo in fabbrica a farci un culo così». Poi le lunghe giornate di protesta, le prime pagine di giornali e tv e il lieto fine con l’acquisto da parte del Gruppo Camozzi.

«Non so se lo rifarei»
«Dopo “l’avventura Genta” la fabbrica era in pessime condizioni», conferma Claudio Tatozzi, l’avvocato del Gruppo Camozzi, «ma abbiamo risistemato tutti i macchinari e adesso la fabbrica internamente è funzionante ed efficiente. Ovviamente, però, l’immobile è ancora da ristrutturare, anzi, in pratica da ricostruire, ma il Gruppo ha intenzione di investire dai 10 ai 15 milioni di euro (si parla anche di ricoprire il tetto con pannelli fotovoltaici ndr)». È questa è l’ulteriore conferma di quello che gli operai dell’Innse hanno urlato, inascoltati, per 17 mesi: questa fabbrica, con i suoi lavoratori e i suoi preziosi macchinari di precisione, ha un mercato importante, non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo. «Ma non so se lo rifarei», confessa Blasi, «non so se avrei ancora la forza di affrontare…PER CONTINUARE A LEGGERE IL REPORTAGE ACQUISTA VITA IN EDICOLA

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