Ultimamente mi è spesso capitato di confrontarmi con amici innovatori che – mi si perdoni la sintesi – argomentano quanto segue: non importa se un’organizzazione è profit o non profit, è cooperativa o s.r.l, l’importante è considerare la sua capacità di produrre innovazione sociale. Va be’, ci può stare, penso io; in fondo dalle société à finalità sociale della legislazione belga del 1995 sino a, un decennio dopo, la nostra impresa sociale, si tratta della condivisibile “laicità” sulle forme giuridiche, in fondo si tratta di solo di “vestiti” – scegliamo il più adatto – quello che importa è il contenuto, forse è ora di togliersi di dosso una certa (fastidiosa) supponenza moralistica per cui chi non è cooperativa o associazione o qualcosa di simile è visto come un intruso nell’esclusivo mondo dei puri di spirito.
E quindi accetto l’invito e mi inoltro in visita del Pantheon degli amici innovatori: mi accolgono sorridenti in prima fila Yunus con zanzariere e yogurt e poco dietro Bill e Melinda Gates con vaccini e cure per i più poveri; in fondo – non sa se può proprio unirsi alla compagnia, ma è lì e qualcuno gli fa cenno di venire avanti – c’è Steve Jobs, che, vinta la timidezza, mostra orgoglioso lo smartphone e tablet che hanno cambiato il nostro modo di rapportarci con la tecnologia e soprattutto di comunicare tra noi. Vedo degli addetti, a fondo sala, un po’ agitati; alcuni signori, vestiti di pelli, reclamano di essere inventori della ruota e di aver portato all’umanità un’innovazione di impatto benefico ben superiore ad uno yogurt o a un telefonino, meno fatica, tempo libero per stare con la famiglia, contatti tra genti diverse ecc., protestano che non è proprio il caso di lasciarli da parte solo perché il loro abito non è in linea con i tempi.
Poco dopo sono attorniato da gruppi di giovani discepoli molto volenterosi, usano termini inglesi che immagino più pregnanti degli equivalenti nostrani (e comunque danno un che di esoterico), sono molto tecnologici, dinamici ed entusiasi, anche se sinceramente ho l’impressione che solo una minima quota delle start up (mi hanno contagiato!) che mi propongono abbiano un qualche fondamento economico. Mi sbaglierò.
Lo confesso, da vecchio cooperatore sono un po’ smarrito, ho bisogno di riordinare le idee.
Ma sì, in molte cose gli amici innovatori hanno ragione, in fondo mica stiamo concorrendo per il premio della bontà! Cosa importa se si agisce per profitto o per il paradiso, per la gloria immortale o per l’ideale dell’uguaglianza tra gli uomini? In fondo quel che conta è il risultato, quanto in effetti per l’umanità le cose siano cambiate in meglio grazie ad una certa iniziativa. Mica è un problema se uno ci guadagna: chiediamoci invece se è diventato ricco sfondato vendendo rossetti o aranciate (nulla di male, figuriamoci) o invece con invenzioni che hanno salvato vite umane, reso più facile la comunicazione o la collaborazione tra persone, permesso ai popoli di uscire dalla povertà.
Esco dal Pantheon sinceramente ammirato (e mi sento piccolo, come non si potrebbe davanti a personaggi di questo calibro; e anche un po’ vecchio, rispetto ai giovani discepoli); poi, tornado a casa, iniziano delle domande. Non saranno mica OGM? Semi forti, imbattibili, indistruttibili; grazie a loro i raccolti sono più ricchi, le piante più resistenti, ma…
Ci sono tanti “ma”, tanti dubbi sugli effetti di sistema di medio periodo. Il fatto che, a livello comunicativo, da buon OGM, questo Pantheon contamini e in prospettiva sovrasti le colture preesistenti, è un bene? È semplice affermazione di un modello più efficiente, positiva a livello di sistema, con buona pace dei “tradizionalisti”? O invece ci sono effetti imprevisti e poco reversibili che rischiamo di innescare? Magari inconsapevolmente, stiamo intaccando quella che Felice Scalvini chiama “biodiversità imprenditoriale”, che in trent’anni ha radicalmente cambiato welfare e processi partecipativi del Paese? Qualche esempio.
Pensare che l’innovazione sia portata avanti da “innovatori eccellenti”, anziché da uno sforzo di popolo, con un processo diffuso che non porta nessuno a diventare personaggio pubblico, ma tanti ad essere protagonisti, che conseguenze ha? Come ci immaginiamo un mondo dell’innovazione sociale in cui il dibattito è guidato da una dozzina di magnati illuminati o, ben che vada, da un gruppo di innovatori di successo che interpretano il proprio ruolo come esito di una storia di affermazione imprenditoriale e non come sforzo collettivo di mutare i processi sociali?
Pensare che l’assenza di lucratività sia un residuo del passato, cosa comporta? Ragioniamo: perfettamente d’accordo a provare fastidio verso moralismi e pauperismi, ma abbiamo considerato che, da un punto di vista economico, il processo di patrimonializzazione che ha portato in trent’anni la cooperazione sociale a 400 mila posti di lavoro – e soprattutto a qualche milione di cittadini che oggi può godere di servizi che prima non esistevano – semplicemente non sarebbe stato pensabile se solo si fosse contemplata la possibilità di distribuire gli utili? E qualcuno ha mai pensato che un cooperazione sostenuta da capitali pur “comprensivi” in questo quadriennio di crisi e di margini inesistenti avrebbe chiuso anziché resistere e contrastare la perdita di occupazione.
E ancora. Cosa ne pensiamo di uno scenario in cui il progresso delle masse è affidato all’ingegno o alla filantropia di qualcuno, e non alla consapevolezza e all’impegno delle istituzioni?
In fondo, penso, siamo strani. conveniamo nell’addossare le attuali devastazioni al capitalismo selvaggio e la cosa che ci sembra più urgente “superare” nel nome del progresso sono le poche esperienze non capitalistiche; siamo immersi in una sorta di religione del mercato, che dà forma alla cultura come alla legislazione, ne constatiamo i limiti, ma siamo disturbati dalle “originalità” delle nostre imprese sociali.
Potremo continuare. Bene, ora sono un po’ più sereno. Ringrazio gli amici innovatori e li prego di esprimere la mia più sincera ammirazione ai personaggi incontrati. Proseguo – oggi mi ispira l’agricoltura – convinto che innesti e contaminazioni siano una cosa ottima; gli OGM no.
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