Salute

Influenza A, il vero picco è stato in Borsa

Così gli allarmi incidono sulle quotazioni

di Redazione

C’è il +400% raggiunto
in una sola seduta
da una piccola azienda
del Maryland, la Novavax.
Ma anche i ragguardevoli risultati di Novartis,
Roche e GlaxoSmithKline.
La temuta pandemia
finora non c’è stata,
ma per le farmaceutiche
l’iniezione di liquidità sì
È ancora presto per cantare vittoria, ma la sensazione è che l’influenza H1N1 sarà ricordata come uno degli allarmi più infondati della storia. In Italia, per limitarci a casa nostra, nel 2009 sono stati registrati 93 decessi direttamente o indirettamente riconducibili alla pandemia, circa l’1% dei morti prodotti ogni anno dall’influenza tradizionale. Tanto che qualche analista si è spinto a parlare di bluff, sottolineando come i veri vincitori della partita siano state la case farmaceutiche, che avrebbero cavalcato l’allarme mediatico per fare profitti. E in alcuni casi si sarebbero premunite di liquidare parte dei pacchetti azionari prima che l’allarme cessasse. Per valutare l’attendibilità di questa tesi può essere utile ricostruire quello che è accaduto negli ultimi mesi, confrontandolo con gli andamenti dei big del pharma sui listini finanziari che si sono lanciati a capofitto nel business della suina. I primi casi di infezione sull’uomo dalla nuova influenza sono stati segnalati a inizio aprile del 2009, ma la notizia di una grave pandemia in arrivo è arrivata il 24 dello stesso mese, quando l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, ha allertato i governi sui possibili rischi.

La Cenerentola del listino
Nelle ore successive all’annuncio i broker hanno assistito stupiti alla corsa sfrenata di Novavax, una società di cui la maggior parte degli analisti ignorava l’esistenza stessa e sulla quale era quasi impossibile trovare un report, considerate la ridotta capitalizzazione (meno di 90 milioni di dollari) e la particolarità del suo core business (biofarmaceutica e produzione di vaccini). Fatto sta che, di fronte al clamore dell’allarme pandemia e all’autorevolezza della fonte, gli investitori professionali si sono lanciati a capofitto su una società che avrebbe in qualche modo (tutto da definire) potuto beneficiare in maniera considerevole dello scenario che si stava profilando. La piccola azienda di Rockville (Maryland) si è trovata catapultata in una sola seduta da 0,88 a 3,53 dollari: un balzo di oltre il 400% che non aveva alcuna spiegazione di carattere fondamentale (relativamente al bilancio o alla segnalazione di scoperte straordinarie). La corsa è proseguita nelle settimane successive, ricevendo sostegno da due annunci della stessa Oms: il primo, datato 11 giugno, con l’innalzamento dell’allerta pandemica al livello 6; il secondo con l’annuncio del prossimo arrivo della “fase due”, con la diffusione mondiale del virus. Proprio in coincidenza con quest’ultima presa di posizione – fine agosto – Novavax ha raggiunto il suo massimo momento di gloria arrivando a sfiorare quota 7 euro. Da quel momento sono cominciate le stime sui malati e i decessi dell’influenza e ci si è resi conto che gli allarmi erano stati quanto meno eccessivi. L’occasione buona per cominciare a disfarsi dei propri pacchetti azionari e portare a casa i guadagni: oggi la società vale 2,7 euro, meno della metà nel confronto con il picco massimo dell’allarme influenzale. Anche perché, a guardare i dati di bilancio che la società ha comunicato alle autorità di Borsa, non sembrano esserci grandi motivi per esultare: Novavax ha chiuso il terzo trimestre dell’anno con perdite per 7,5 miliardi di dollari, solo in leggero progresso rispetto ai -7,8 miliardi di un anno prima.

Le grandi in crescendo
La differente capitalizzazione ha impedito che escursioni dello stesso tipo potessero verificarsi tra i grandi gruppi farmaceutici, eppure anche in questo caso non sono mancate ampie variazioni nei corsi azionari. Novartis, che è stata la prima a ottenere dalla Commissione Europea il via libera alla commercializzazione del Focetria, ha visto crescere progressivamente le proprie quotazioni da 44 franchi svizzeri di un anno fa ai circa 55 di oggi. In questo caso non ci sono stati annunci mirabolanti, ma comunicazioni di progressivi passi in avanti nella ricerca sul vaccino e di una domanda crescente da parte dei governi di tutto il mondo. Un andamento simile hanno registrato anche Roche e GlaxoSmithKline: i due gruppi, secondo uno studio della banca d’affari J.P. Morgan, venderanno farmaci contro la nuova influenza per circa 1,8 miliardi di dollari nei Paesi ricchi e per più 1,2 miliardi di dollari nei Paesi in via di sviluppo.
È solo nelle ultime due settimane che le stime sulla diffusione dell’influenza H1N1, amplificate dai media, hanno registrato un’inversione di tendenza. Si è scoperto che il suo impatto complessivo sarà di gran lunga inferiore alla normale influenza stagionale, tanto che ora i governi e le farmacie non sanno come impiegare gli avanzi di magazzino, in modo da ridurre – per quanto possibile – il buco nei conti. Un problema che non riguarda le case farmaceutiche, che ormai hanno incassato e ora hanno liquidità in abbondanza per guardare con serenità al futuro.


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