Salute

Influenza A, due pesi e due misure

di Redazione

Forse non ci avete fatto caso. Eppure succede ogni volta. Quando muore, o comunque si trova in gravi condizioni, una persona colpita dal virus dell’influenza A, i medici e i media si affrettano a precisare: «Sì, è morto, ma stava comunque malissimo, era cardiopatico, aveva problemi respiratori terribili, insomma era una persona a rischio?». Già, e dunque tutti i “sani” possono tirare un sospiro di sollievo, fare gli scongiuri, continuare la propria vita spensierata. Intendiamoci, è giustissimo e doveroso cercare di evitare ondate di panico. Ma mi preoccupa assai questo strano atteggiamento, forse non attentamente valutato nelle sue conseguenze. Sembra infatti di poter aggiungere, alle precisazioni dei medici e dei giornalisti: «Ah beh, allora pazienza, sarebbe morto lo stesso, prima o poi?». A parte il fatto che “prima o poi” fa una bella differenza, vi prego di meditare almeno qualche istante sul cinismo involontario contenuto in questo cliché. È come dire: se una persona è già in gravi e croniche condizioni di salute, inutile dare la colpa al virus, la vita è appesa a un filo, e non è il caso di conteggiare la vittima nelle statistiche dell’influenza, sarebbe assai peggio se la cosa riguardasse persone in piena salute e attive. Terribile. È come dire che le centinaia di migliaia di italiani in situazione di gravità fisica (perché di questi numeri stiamo parlando) non meritano lo stesso livello di attenzione e di precauzione degli altri. Certo, il vaccino in teoria partirà proprio da loro, ma insomma, colpire una persona conciata male sembra quasi un’attenuante di responsabilità nei confronti di questo strano virus, per il quale a giorni alterni ci dobbiamo preoccupare (con i consigli costosi di Topo Gigio) oppure non preoccupare (dichiarazioni governative e non solo). Io, con la mia insufficienza respiratoria cronica, sinceramente vorrei vivere a lungo, e comunque non vorrei crepare sereno perché l’influenza A non è preoccupante.


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