Non profit
Infermieri, i numeri del collasso
Meno 9mila unità ogni anno a causa del mancato ingresso di giovani professionisti. Contratti scaduti due anni fa. La categoria scende in piazza
Se ti trovi in un letto d’ospedale, suoni il campanello per chiamare un infermiere e nessuno arriva, un motivo c’è. Probabilmente quell’infermiere si trova solo a gestire dodici o quindici malati contemporaneamente. Probabilmente sta facendo un turno notturno per arrotondare un misero stipendio, e non è molto felice di essere lì, esattamente come te.
E’ dal 1993 che il numero di infermieri che operano nel Servizio sanitario nazionale tende a contrarsi e negli ultimi tre anni ha raggiunto una soglia drammatica. Il rapporto tra chi lascia e chi inizia la professione è completamente ribaltato: a fronte di 12.500 infermieri che vanno in pensione, arrivano solo 3.500 nuovi giovani diplomati, con un saldo negativo di 9 mila unità.
E la condizione dei pochi che restano in trincea? Leggiamo un messaggio in Rete del forum Ipasvi (i collegi professionali di categoria) che la dice lunga: “Lavoro in una Lungodegenza. Noi infermieri rifacciamo i letti, li rinnoviamo alla dimissione dei pazienti lavandoli e disinfettandoli, eseguiamo pedicure, manicure, facciamo barbe e capelli, laviamo bicchieri e comodini, padelle e pappagalli, riempiamo i flussometri dell’ossigenoterapia e gli altri operatori si imboscano…e tutta va bene…naturalmente per i superiori!”.
“Il fabbisogno attuale di infermieri nel nostro Paese richiederebbe circa 100 mila unità in più, ma è impensabile che possano essere reclutate in breve tempo – spiega Annalisa Silvestro, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipavsi – Lo status dell’infermiere tra i giovani è davvero poco appetibile, viste le difficili condizioni di lavoro, uno stipendio base che si aggira intorno a 1 milione e 800mila al mese, il regime di turni che non tiene conto delle festività comuni a tutti i lavoratori”.
La situazione, già qualche tempo fa, aveva raggiunto una soglia critica tale che l’ex ministra della Sanità Rosy Bindi aveva aperto la strada all’assunzione di infermieri professionali extracomunitari. Un vero flop: dal 1999 ad oggi solo 207 infermieri extracomunitari hanno avuto il riconoscimento del titolo per esercitare in Italia.
Per non parlare dei posti disponibili ai corsi universitari (per esercitare è necessario laurearsi dopo un triennio di studi), che dai 6mila del 1998 quest’anno sono arrivati a poco più di 10 mila, “ma la percentuale di abbandoni è nell’ordine del 60-70%, perché è un percorso formativo duro, con una componente vocazionale che non tutti i giovani possiedono” spiega Giovanni Nigro, della Funzione pubblica Cgil.
Proprio i sindacati confederati hanno indetto lo sciopero generale del 30 marzo, a Roma, per il contratto dei lavoratori della Sanità, scaduto il 31 dicembre del 1999. “In gioco c’è anche il miglioramento salariale e delle condizioni di lavoro degli infermieri. Le disfunzioni organizzative e l’insoddisfazione dei cittadini dipendono dalla carenza numerica e dalla cattiva gestione del personale esistente. Gli infermieri sono pochi, sottoposti a turni massacranti e sottopagati. Tutto questo rende molto critico anche il livello di gratificazione personale: l’incidenza del burn out in questa professione è particolarmente elevata”.
Che fare, dunque? Secondo i diretti interessati l’emergenza infermieristica può essere risolta solo rendendo la professione più accattivante agli occhi di chi si pone il problema di effettuare una scelta universitaria. “Bisogna pianificare meglio l’accesso alla formazione – dice Annalisa Silvestro – E garantire ai giovani un’articolazione di carriera basata sulla specializzazione acquisita, combattendo l’appiattimento salariale. Il rilancio può avvenire solo restituendo dignità a questa professione, che apre prospettive anche sul piano della dirigenza, o nel campo dell’insegnamento universitario. La questione infermieristica non può essere affrontata con provvedimenti occasionali, ma ha bisogno di un intervento strutturale, soprattutto alla luce della riforma dei servizi assistenziali e della partenza di tante strutture di hospice e di cure palliative. Teniamo presente che adesso riusciamo a gestire a malapena i servizi ospedalieri, figuriamoci quelli domiciliari!”.
Info: www.ipasvi.it
Quant’è lo stipendio di un infermiere?
Senza turni notturni e festivi, è di 1,8 milioni. Il massimo è 2,5 milioni. A parte gli incentivi di singoli ospedali, non esistono scatti di anzianità; anzi, un capo sala può avere uno stipendio inferiore agli infermieri turnisti, che reggono ritmi di lavoro intensi e faticosi. La pensione Inps ammonta al 70% dello stipendio, ma chi si impiega oggi forse arriverà al 50%. La libera professione, da cui si può ricavare di più, riguarda appena 10 mila soggetti. Per il nuovo contratto, i sindacati chiedono che lo stipendio “in corsia” arrivi a 3 milioni.
Info: www.ipavsi.it
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