Volontariato

Industria farmaceutica. Una terapia responsabile

Sono alla ricerca di una via credibile per l’esercizio della loro responsabilità sociale d’impresa.

di Ida Cappiello

Come aprire i cancelli delle aziende farmaceutiche alla responsabilità sociale? Attraverso il dialogo con la società civile. In questo senso è emblematico il percorso intrapreso da Pfizer Italia con il Tribunale dei diritti del malato. Dice Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva e del Tdm: “Spesso gli scandali riguardano le imprese più impegnate nel sociale, come se davvero fossero divise in due. La nostra scommessa è non lasciarle in pace, insistere finché otterremo che l?etica entri nei rapporti commerciali. Con Pfizer ci stiamo provando: il tavolo di lavoro per la trasparenza dei rapporti con i medici va avanti, con promesse concrete come l?abolizione del budget promozionale ai singoli informatori, da sostituire con un budget centralizzato, più controllabile. Il punto delicato è la possibilità per noi di verificare il rispetto degli impegni”.

Rapporto con i consumatori
“Il progetto di collaborazione con Cittadinanzattiva e e i medici di base vuole ridisegnare i rapporti tra industria, medici e cittadini nel nome della trasparenza”, afferma Maria Pia Ruffilli, direttore esecutivo di Pfizer Italia. L?organizzazione aziendale si è attrezzata per diffondere la cultura della responsabilità tra i dipendenti con una struttura che Pfizer ha voluto istituire per prima in Italia: la Icg, Italy corporate governance (nata con l?entrata in vigore della normativa che introduce sanzioni anche per l?azienda, quando un dipendente commette un illecito). La Icg promuove la cultura della trasparenza e monitora costantemente l?applicazione dei principi etici interni. A maggio 2004 è stato anche lanciato il sito Internet Associazioni in Salute che vuole dare un importante contributo al processo di crescita delle associazioni, offrendo un servizio in continuo aggiornamento e uno spazio per scambiare idee ed esperienze.
Secondo un recentissimo studio del ministero della Salute, 15 sui 30 prodotti farmaceutici da banco più venduti sono aumentati, tra gennaio e aprile 2004, con percentuali a due cifre. I farmaci generici, che in altri Paesi europei hanno giocato un ruolo determinante di tutela del potere d?acquisto dei cittadini, in Italia stentano a decollare. Il presidente di Assogenerici, Roberto Teruzzi, dà la sua spiegazione: “Il governo italiano classifica come generici anche i cosiddetti farmaci copia, nati quando l?originale era ancora coperto da brevetto (pagando le royalties, ndr). Questo criterio fa apparire il mercato molto più ampio di quello che è: il 12% contro il 3. Così non si incentiva certo la diffusione dei generici, che invece contribuirebbero in modo determinante a calmierare i prezzi. Ci sono casi in cui i farmaci senza marchio costano il 40% in meno dei branded”.
Sul caro farmaci il ruolo dello Stato e delle associazioni è soprattutto quello di informare, sradicando i pregiudizi ancora molto diffusi sulla reale efficacia dei generici rispetto ai prodotti di marca. La costituenda Agenzia del farmaco avrà anche il compito di fare analisi comparate. L?organizzazione di consumatori Altroconsumo promuove l?uso razionale dei farmaci sulla rivista Salutest (recentissima l?inchiesta “Nuovi di nome ma non di fatto”). Sul sito AltroConsumo, inoltre, è disponibile per i soci una banca dati che consente di scegliere il prodotto più conveniente tra i farmaci contenenti lo stesso principio attivo.

Ricerca, per chi?
Altro allarme è quello lanciato dal professor Silvio Garattini, direttore dell?Istituto Mario Negri, una delle voci indipendenti più prestigiose in campo scientifico: “Si tende a fare ricerca solo se il mercato degli utenti potenziali garantisce un ritorno adeguato. Si escludono quindi le malattie rare, 5mila nel mondo, ma anche le malattie dei Paesi poveri, dove il mercato ci sarebbe eccome, ma non c?è il reddito necessario. La stessa logica di un bene di consumo qualsiasi”.
Un tentativo di imboccare una strada diversa è stato fatto da Farmindustria con il codice deontologico varato a gennaio 2004, che dedica un lungo capitolo al rapporto con la comunità scientifica, custode dell?eticità della ricerca. La concessione di borse di studio dev?essere seguita da adeguata documentazione sull?attività svolta dai ricercatori; nel caso di ricerche condotte presso istituti clinici, la strumentazione (spesso costosissima) fornita dalle imprese dev?essere restituita appena conclusa l?indagine, per evitare qualsiasi forma di condizionamento. Il mancato rispetto del codice può portare sino all?espulsione da Farmindustria.
Un ruolo importante di indirizzo spetta agli enti non profit che collaborano con le aziende. Lo spiega con molta chiarezza il professor Lodovico Frattola, direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi. “Il miglior stimolo che possiamo dare loro è la nostra integrità. Quando è l?azienda a proporre un progetto, il ricercatore deve accettare il sostegno solo a patto che gli obiettivi abbiano un reale valore sociale e sanitario. Quando siamo noi a proporre un?idea innovativa, dobbiamo avere il coraggio di ammettere un insuccesso, anche a costo di perdere il sostegno. Devo dire che in oltre vent?anni di collaborazione le imprese hanno imparato ad accettare questo rigore etico, continuando a sostenerci”. Un secondo esempio di dialogo svincolato da convenienze commerciali arriva da Telethon. La fondazione, che sta sviluppando la ricerca applicata accanto a quella di base, formerà, con il supporto di alcune case farmaceutiche, figure professionali in grado di seguire le complesse procedure autorizzative legate alla sperimentazione clinica dei farmaci.

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