Welfare

Indulto: non solo numeri, ma storie vere

Giornali e tv continuano a sbattere il mostro in prima pagina. A questo si aggiunge la confusione sui numeri. Ma la stragrande maggioranza degli indultati, comunque, sta cercando di rifarsi una vita

di Redazione

Scoppiano le polemiche sui numeri. Dell’indulto avrebbero beneficiato oltre 29 mila detenuti. Il dato, fornito dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, è stato trasmesso dal sottosegretario alla Giustizia Daniela Melchiorre alla Commissione Giustizia del Senato. E comprende sia i 24.543 detenuti che sono tornati in libertà per effetto dell’indulto sia i 4.964 che hanno potuto usufruire, con il prevvedimento di clemenza, delle misure alternative al carcere. Ma non basta, perché anche così, i conti non tornano. Il dato riferito dal ministero dei 24.543 detenuti scarcerati, aggiornato al 9 novembre, sarebbe infatti il frutto di un calcolo “sbagliato”, che risulta evidente in una prima lettera del sottosegretario: quella che la commissione Giustizia ha protocollato ieri. Tanto che il senatore dei Ds Felice Casson ha chiesto al sottosegretario oggi presente in commissione Luigi Scotti ulteriori spiegazioni. “Gli abbiamo chiesto cioè – racconta Casson – di avere i dati disaggregati di quanti sono quelli che risultano usciti dal carcere da fine luglio ad oggi, quanti quelli in semilibertà e quanti agli arresti domiciliari. Con somme e numeri esatti”. “Abbiamo chiesto insomma – aggiunge Casson – dei dati attendibili e chiari E li abbiamo chiesti prima che i ministri dell’Interno Amato e della Giustizia Mastella vengano qui a fare la loro audizione al Senato proprio sul tema dell’indulto…”. Sta di fatto che, al di là dei conti e degli allarmasmi mediatici, dei 24 (o 29) mila indultati, a oltre due mesi dal provvedimento, solo tre su cento sono tornati a commettere un reato. Se ne ricava così un tasso di recidiva quasi insignificante rispetto allo standard del 75%. La percentuale relativa agli indultati si riduce ulteriolmente scorporando il dato degli stranieri sprovvisti di permesso, recidivi sì, ma colpevoli «di un mero illecito amministrativo», fa notare il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi. Tale fedele fotografia in questi mesi è stata per lo più taciuta dai maggiori media nazionali che hanno dato in pasto all?opinione pubblica succulenti piatti di cronaca giudiziaria con protagonista proprio quel 2,8% di indultati ricaduti nella delinquenza. Fiction. Le cose non stanno così. Maria Pia Brunato, garante dei diritti dei detenuti a Torino, non ha più un attimo libero. Negli ultimi sessanta giorni l?affluenza verso il suo ufficio si è moltiplicata per cento. «Lavoro, è questa la richiesta che mi sento fare ogni giorno. Ma quello che più mi ha colpito è il loro spirito costruttivo. Non sono affatto sprovveduti, molti *-hanno già elaborato un piano di vita», rileva la Brunato. Non dissimile la situazione a Bologna. Dove la pari grado Desi Bruno conferma: «Questi si vogliono sistemare». Operazione complicata. Povertà e malattia, sono due assidui compagni di viaggio. «Piuttosto che tornare in carcere mi metto a mangiare pane», interviene Allaj Gentian, albanese di 32 anni. Un curriculum all?insegna di droga, rapine e spaccio. Negli ultimi nove anni questi i domicili conosciuti: nell?ordine, i penitenziari di Padova, Vicenza, Gorizia e Brescia. «Mi rimane poco tempo, però ho un progetto, che non è più un sogno: una famiglia ». La strada l?ha trovata grazie alla cooperativa padovana Giotto, «un lavoro da giardiniere: 800 euro al mese», e a suo cugino, che lo ospita ad Abano Terme, «ma mi sento di troppo a vivere con sua moglie e i bambini in una casa di tre stanze». Sempre a Padova Zuby Zeokafor, nigeriano di 46 anni, uscito 20 giorni fa con un anticipo di tre mesi sulla scadenza della pena, e Domenico Amarone, napoletano di sette anni più vecchio, sono colleghi. Trascorrono la giornata al camposanto. Specializzati in ?servizi cimiteriali?. «Funerali, tumulazioni, esumazioni», spiega l?africano. Oltre all?attuale impiego e al vecchio vizio dello spaccio di stupefacenti, Zuby e Domenico condividono anche la solitudine. I quattro figli di Zeokafor – il più grande 10 anni, il piccolo 4 e mezzo – e la moglie sono tornati in Nigeria «quando è successo il fatto». Adesso non ha più nessuno. Questa invece la giornata tipo di Amarone. Sveglia alle 5,30. Alle 6,30, con l?adorata Gazzetta dello sport sotto braccio, è già al cimitero, un?ora in anticipo sull?orario previsto, «così ho il tempo per cambiarmi». Tappe fisse: trattoria e bar, «mangio solo e poi spesso vado a farmi un bicchiere». Luci spente alle 21,30 in una stanza di una cascina nella campagna veneta, dove affitta una camera per 250 euro al mese. Il pensiero fisso ai due figli: «Una si è sposata e vive sul lago di Garda, l?altro vive con la madre chissà dove. Ma io sono un ottimista, le cose miglioreranno». Pensa al matrimonio invece Fabio, 27 anni, di Gravina in provincia di Bari. Fra pochi giorni uscirà dal carcere di Trani. Ad attenderlo la sua donna e suo figlio. Si è fatto quattro anni per rapina e spaccio e senza l?indulto il prossimo 19 febbraio sarebbe stato comunque un uomo libero. «Questo ragazzo ha ancora bisogno di venir accompagnato, bisognerebbe conoscere da che condizione familiare arriva», spiega don Raffaele Sarno, il suo mentore. «Io però», interviene Fabio, «mi sto appassionando, piuttosto di tornare in cella sono disposto a guadagnare meno». Nel suo futuro un posto da muratore a 700 euro al mese. Di incoraggiamento ne avrebbe bisogno anche Andrea, veneziano di 38 anni. Dopo 16 anni dentro (i soliti reati: rapina e spaccio), dal 2 agosto è tornato dalla madre a Mestre. Ci ha portato anche la sua ragazza, «lei è disoccupata, non avevamo un tetto dove andare», quasi si giustifica. Lui un posto invece ce l?ha. Fa l?operatore ecologico, «lo spazzino», per l?azienda comunale. Fra meno di quattro mesi anche lui sarà a spasso. La cooperativa che lo ha assunto, la Rio Terà dei pensieri, non potrà più contare sulle agevolazioni previste dalla legge Smuraglia. «Se lo tenessi ci costerebbe più di quanto incassiamo dalla convenzione», si rammarica il presidente Raffaele Levorato.


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