Welfare

Indulto, adesso usciamo anche noi volontari

Oltre 20mila persone abbandonate a se stesse. Lo Stato ha fatto poco, ma le associazioni spesso si sono dimostrate impreparate: «Anche per noi la vera sfida si vince fuori»

di Redazione

Doveva essere una grande vittoria. E invece rischia di trasformarsi anche in un grande autogol. Per il volontariato penitenziario l?approvazione dell?indulto segna di fatto l?anno zero. L?ondata di liberazioni (20.637 i detenuti rimessi in libertà al 25 agosto) sta infatti costringendo a un profondo esame di coscienza un movimento che in Italia ormai coinvolge 8.300 persone (+ 28,3% rispetto al 2001, secondo i dati Fivol del luglio scorso). Il mea culpa della Caritas Le rincorse di queste settimane stanno lasciando cicatrici indelebili. «Mai come in questa occasione la galassia del volontariato si è dimostrata impreparata nell?affrontare l?emergenza di migliaia di persone bisognose di accompagnamento». È severo il giudizio di don Raffaele Sarno, portavoce della Caritas e cappellano nel carcere di Trani. Severo, ma onesto. La stessa associazione, infatti, non si sottrae alle sue responsabilità. Una recente comunicazione interna ha rilevato come «il 95% delle Caritas diocesane svolga attività all?interno del carcere, ma solo il 40% anche all?esterno». Un mea culpa non certo isolato. Ornella Favero, animatrice della vivacissima rivista Ristretti Orizzonti, confezionata nel carcere di Padova, non usa giri di parole: «Le persone che incontriamo dentro sono in qualche modo contenute dall?istituzione, è la libertà che poi scatena i problemi, la tentazione della droga, l?alcol, il disagio psichico e l?incapacità a ricostruire legami familiari andati in pezzi». La vera sfida insomma «è fuori: nelle città, in un territorio spesso ostile». Sportelli ?Sos Indulto? sono spuntati in diverse città: Padova, Rovigo e Milano fra le prime. I tentativi del mondo della solidarietà di offrire un paracadute agli indultati sono stati numerosi, ma non sempre efficaci. Sintomatica l?esperienza di Paola Cigarini che, assieme ad altri sei volontari del gruppo Carcere Città di Modena, per giorni ha fatto la posta di fronte all?istituto della periferia cittadina in modo da offrire un passaggio ai detenuti in uscita prima che fossero intercettati dalla polizia. «La maggior parte erano stranieri senza permesso di soggiorno e non sapevano dove andare», racconta, «noi gli abbiamo offerto un passaggio alla stazione e qualche soldo per le prime spese». La vera questione però rimane il lavoro. «Alcune ditte della zona si erano dimostrate disponibili ad accogliere i ragazzi che gli abbiamo presentato. Poi però tutto è sfumato». Perché? Fascino perverso «L?indulto è stata un?operazione di palazzo, da cui il sociale è rimasto escluso», ragiona Sergio Segio del gruppo Abele. «Sarei curioso di conoscere il dato sui suicidi delle persone appena uscite dal carcere: credo che avremmo delle spiacevoli sorprese». Il ministero dal canto suo fornisce statistiche incoraggianti sulla recidiva degli indultati, che ad oggi si attesta all?1,2% rispetto a uno standard del 70% per gli ex detenuti. La sensazione, condivisa anche dal sottosegretario Luigi Manconi, è che le cose peggioreranno. E di molto. Ma la vera sfida è un?altra. «Tamponare i mali del carcere da dietro le sbarre si è rivelata una scelta perdente», ragiona Segio. «Sono ancora troppi i volontari che si fanno ammaliare dal fascino del carcere. La rete di salvataggio non si costruisce nel carcere, ma prima e dopo la detenzione», chiosa Sarno. Un richiamo che Claudio Messina, presidente della Cnvg – Conferenza nazionale volontariato e giustizia accoglie, anche se rifiuta il ruolo di unico imputato: «Noi siamo in ritardo, ma il governo lo è ancora di più. Siamo stati invitati al tavolo convocato dal ministro Ferrero per il 5 settembre, oltre un mese dall?indulto. Tardi, troppo tardi».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA