Economia

Indirizzare i risparmi degli italiani su piccole e medie imprese

«Può essere una scommessa vera per i cinque anni che ci attendono. Usare i Piani individuali di risparmio non solo per le società quotate. Ma anche per chi in borsa non c’è. E che è il cuore dell’economia». La ricetta dell'economista Leonardo Becchetti dell'Università di Roma Tor Vergata

di Leonardo Becchetti

Uno dei problemi strutturali del nostro Paese è la difficoltà di accesso alle fonti di finanziamento esterno (ovvero quelle diverse dall’autofinanziamento) delle piccole e medie imprese e delle imprese artigiane.

In un quadro di bancocentrismo, ovvero di dipendenza eccessiva delle imprese italiano dall’unica fonte esterna del credito bancario che significa limitato accesso a tutte le altre fonti esterne alternative (capi- tale di rischio sui mercati azionari, equity crowfuding, ecc.).

I dati recenti confermano il fenomeno. Dall’anno della crisi finanziaria ad oggi i prestiti alle grandi imprese sono declinati per poi ripartire con l’inizio della ripresa. Quelli alle piccole e medie imprese hanno continuato ininterrottamente a mostrare il segno meno negli ultimi dieci anni.

Il fattore strutturale che spiega in parte il fenomeno è la ritrosia delle grandi banche massimizzatrici di profitto a finanziare le piccole e medie imprese e gli artigiani (progetti troppo piccoli, costi fissi di istruttoria troppo elevati che i guadagni da interesse non coprono abbastanza per generare i profitti desiderati). Tradizionalmente le banche popolari e cooperative hanno coperto parte di questo buco vista la loro vocazione a servire il territorio.

I Piani individuali di risparmio (Pir) sono stati un’importante innovazione che si è posta l’obiettivo di risolvere questo problema. Si tratta di fondi d’investimento che devono investire statutariamente una quota dei risparmi nelle piccole e medie imprese italiane quotate in borsa e che ricevono un trattamento fiscale di favore (cinque anni di esenzione dalla tassazione sui guadagni in conto capitale).

Infatti il 21% del totale deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati. Questo significa di fatto premiare le piccole e medie aziende quotate su altri mercati regolamentati, società che fanno parte del Midex o dello Star o sulle aziende quotate all’Aim (il mercato di Borsa italiana dedicato alle piccole e medie imprese italiane, ndr).

Per questi motivi i Pir hanno ricevuto un ammontare ingente di risparmio degli italiani. Il problema dei Pir è che si riversano su un canale tutto sommato limitato nel mondo vastissimo delle piccole e medie imprese e delle imprese artigiane. Quando ingenti risorse finanziarie si dirigono su poche aziende il risultato è il rigonfiamento dei prezzi e il rischio di bolla finanziaria.

Per scongiurarlo con il comitato promotore delle Settimane Sociali dei cattolici abbiamo proposto un emendamento che stabilisca che una quota di quel 22% debba andare necessariamente verso le Pmi e le artigiane non quotate. Non con un investimento diretto che sarebbe troppo rischioso ma attraverso canali appropriati che riducono il rischio dei risparmiatori come fondi chiusi che a loro volta hanno portafogli diversificati in investimenti su piccole e medie imprese an- che attraverso canali nuovi come quelli delle piattaforme di equity crowfunding.

Nella nostra proposta in particolare sottolineiamo l’importanza di includere tra questi veicoli di investimento alternativi i fondi impact, ovvero quelli che usano criteri di sostenibilità sociale ed ambientale nella scelta delle imprese da finanziare coniugando profitto ed impatto sociale.

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