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Indice globale della fame 2016, il caso Zimbabwe: aranceti nel deserto

L'ong Cesvi presenta oggi 11 ottobre l'undicesima edizione del Ghi, Global hunger index, il rapporto internazionale che misura la fame nel mondo: "50 paesi su 118 a rischio, è necessario che governi, settore privato e società civile agiscano assieme per migliorare la situazione". Il cambiamento è possibile, come dimostra il case study nel Paese dell'Africa subshariana, dove "grazie al ripristino di sistemi di irrigazione già esistenti sono nati 22mila aranceti in 90 ettari, creando lavoro per la popolazione"

di Daniele Biella

Il numero di persone che soffrono la fame nel mondo resta inaccettabilmente alto. I livelli di fame in 50 delle 118 nazioni analizzate rimangono gravi (in 43 Paesi) o allarmanti (in 7 Paesi). In termini di grandi regioni, l’Africa a sud del Sahara ha il livello di fame più alto, seguita a breve distanza dall’Asia meridionale. A completamento della classifica dei 10 Paesi con i più alti livelli di fame, dopo Repubblica Centrafricana, Ciad e Zambia troviamo Haiti, Madagascar, Yemen, Sierra Leone, Afghanistan, Timor-Est e Niger. I denutriti cronici sono circa 795 milioni, un bambino su quattro è affetto da arresto della crescita e l’8% da deperimento”. Sono implacabili i dati che emergono dall’Indice globale della fame 2016 (Ghi, Global hunger index), redatto da 11 anni dall’ong Cesvi e considerato uno dei principali rapporti internazionali capace di misurare la fame nel mondo.

Secondo l’Indice Globale della Fame 2016, diffuso la mattina dell’11 ottobre 2016 e scaricabile sul sito di Cesvi, la comunità globale è ben lontana dal raggiungimento dell’Obiettivo ‘Fame Zero’ entro il 2030. Infatti, se il livello di fame dovesse diminuire allo stesso tasso registrato dal 1992 ad oggi, nel 2030 più di 45 Paesi – tra cui India, Pakistan, Haiti, Yemen, e Afghanistan – avrebbero ancora un livello di fame tra il moderato e l’allarmante. Inoltre, nelle condizioni attuali per 13 Paesi non è stato possibile raccogliere dati completi per calcolare il punteggio di GHI. 10 di questi, tra i quali Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Libia, Sud Sudan e Siria, hanno indicatori come arresto della crescita, deperimento e mortalità infantili che lasciano supporre alti livelli di fame e suscitano notevole preoccupazione. Qui sotto la mappa dettagliata Paese per Paese.


Il rapporto di quest’anno, che si inserisce nel quadro dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni unite e il cui messaggio Obiettivo Fame Zero, basato sull’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 2, evidenzia anche alcuni segnali positivi nella lotta alla fame globale: il livello di fame nei Paesi in via di sviluppo è diminuito del 29% dal 2000 ad oggi. Inoltre, per il secondo anno consecutivo, nessun Paese in via di sviluppo, tra quelli di cui si dispongono i dati, è risultato nella categoria estremamente allarmante. “Il mondo ha compiuto progressi sostanziali nella lotta alla fame, ma a una velocità ancora non sufficiente per raggiungere l’Obiettivo Fame Zero entro il 2030. Porre fine alla fame nel mondo è un obiettivo ambizioso, ma non impossibile. Per raggiungerlo è necessario che tutti gli attori in gioco aumentino l’impegno e la responsabilità: stabilire le giuste priorità per garantire che i governi, il settore privato e la società civile dedichino tempo e risorse necessarie per sconfiggere la fame. Il caso studio che stiamo portando avanti in Zimbabwe, ‘Shashe Citrus Orchard’, dimostra quanto sia fondamentale concentrarsi, nell’ambito delle politiche agricole nazionali dei Paesi colpiti dalla fame, sull’estirpazione della povertà e sulla sicurezza alimentare e nutrizionale” dichiara Daniela Bernacchi, Amministratore delegato Cesvi.

Il caso studio dello Zimbabwe: dal deserto agli aranceti
Ai dati dell’Indice Globale della Fame, Cesvi affianca la sua esperienza concreta in Zimbabwe, al 99° posto nella classifica del Ghi 2016 e, ad oggi, uno dei Paesi dell’Africa a sud del Sahara maggiormente colpiti da El Niño, con oltre 2,8 milioni di persone affette da insicurezza alimentare. “Stiamo parlando di una nazione molto particolare e in controtendenza per l’Africa Subsahariana: negli anni ’90 era florido e autonomo, con uno sviluppo molto più alto della media del territorio. Poi il declino, inesorabile, anche a causa dell’esproprio delle terre da parte del Governo”, spiega Loris Palentini, 42 anni, capo missione Cesvi in Zimbabwe dal 2014, cooperante dal 2003. “L’esproprio ha annullato il latifondismo dei privati e ridato parte della terra alla popolazione, ma nel tempo le famiglie sono state abbandonate a loro stesse e molte persone delle istituzioni hanno pensato solo all’arricchimento personale sfruttando il terreno senza investimenti e lungimiranza, e ciò accade anche oggi. Ma non tutto è perduto, con metodo e passi precisi gran parte del terreno oggi lasciato nell’abbandono può ritornare utile all’agricoltura”.

L’azione portata avanti da Cesvi con il progetto ‘Shashe Citrus Orchard’ (in allegato la presentazione), in cui sono coinvolte almeno mille persone della comunità e 900 studenti di una scuola agraria della zona, va proprio in tale direzione: dal 2011 l’ong, gestisce insieme alla comunità di Shashe, località al confine con il Sudafrica e il Botswana, un aranceto di oltre 90 ettari, nato in una zona desertica così trasformata in un’opportunità economica per la popolazione locale. “Nonostante la situazione compromessa, le competenze acquisite in passato rimangono, in un Paese comunque con un’alta alfabetizzazione, attorno al 90-95%”, riprende Palentini. “Soprattutto nel sud, molti schemi irrigui che sono stati creati in mancanza di piogge abbondanti possono essere ripristinati come abbiamo fatto a Shashe: oggi ci sono 22mila alberi di arance, più altre varietà di legumi e ortaggi, e la popolazione locale è coinvolta direttamente attraverso la creazione di imprese locali che, una volta avviata l’attività sul mercato, siano capaci di rimanere in piedi anche senza gli aiuti della cooperazione internazionale”. Aiuti che, per quanto riguarda l’azione di Cesvi, arrivano da fondi europei, oltre a stanziamenti del Comune di Milano e della nuova Agenzia italiana di cooperazione allo sviluppo nell’ambito della lotta alla siccità.

L’eradicazione della povertà e la lotta contro la fame e la malnutrizione restano obiettivi prioritari. Nella nuova visione proposta dall’Agenda, il ruolo normativo, operativo e finanziario del polo agricolo-alimentare dell’Onu diventa ancora più rilevante. L’Italia, che lo ospita, ritiene che la promozione di un’agricoltura sostenibile e inclusiva e la lotta a fame e malnutrizione siano indispensabili al raggiungimento di tutti gli Obiettivi di sviluppo. In tal senso si colloca la nostra azione multilaterale e di cooperazione allo sviluppo anche attuale, dall’organizzazione di Expo Milano fino alla prossima Presidenza del G7”, sottolinea l’Ambasciatore Pietro Sebastiani, Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Esteri.

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