Dunque dopo un logorante tira e molla, pare che a dicembre si firmerà, con tutte le postille del caso, il Trattato di Lisbona (a proposito, leggerlo non scalda certo i cuori; assomiglia più a un decreto omnibus della legge finanziaria che a una Costituzione, ma sappiamo bene come è andata). Le istituzioni dell’Unione Europea – che il nostro premier ha dimostrato di non conoscere chiamandole in causa per la storia del crocifisso quando in realtà si trattava di un pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo istituita presso il Consiglio d’Europa – avranno quindi un nuovo assetto. Speriamo che, in questa nuova veste, recuperino un pò di credibilità perduta proprio nel momento in cui dovevo realizzare un salto di qualità nella loro legittimazione ed inoltre si dimostrino un pò più “performanti” rispetto agli obiettivi che si sono date con l’altrettando famosa “strategia di Lisbona” (sempre lì).
E che non sono di poco conto: ambiente, coesione sociale, società della conoscenza, ecc. A questo proposito Eurostat (l’equivalente italiano dell’Istat) raccoglie indicatori di monitoraggio per ciascuna area di intervento della strategia. Le misure sulla coesione sono in realtà indici di disgregazione sociale (disoccupazione, povertà, dispersione scolastica, ecc.). Non c’è traccia di un indicatore relativo alle risorse di coesione. Ad esempio un banalissimo “numero di organizzazioni di volontariato per milione di abitanti”. Troppo complicato? Diciamo che è un ottimo indicatore della rilevanza del terzo settore e della considerazione di cui gode presso i policy makers comunitari. D’accordo non è facile raccogliere dati in 27 paesi diversi, ma in altre sedi le cose sono andate in modo ben diverso.
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