Scuola

Inclusione scolastica: totem e tabù

Che l’argomento “inclusione” non sia un tabù, è un bene. Fingere però che questo equivalga a dire che l’inclusione è un mito, è un male oltre che una menzogna. Il ritorno alle classi differenziali non può essere un'ipotesi di discussione, eppure l'inclusione scolastica va cambiata

di Sara De Carli

A questo punto, francamente, fa sorridere affermare – come ha fatto Matteo Salvini, che finalmente ha rilasciato una dichiarazione pubblica – che le parole del generale Roberto Vannacci sono state travisate. Ma forse, francamente, fa anche relativamente poca differenza. Perché la questione vera, lapalissiana dopo due giorni di polemiche, è che quando le parole vengono dette da uno, in realtà sono già pensate da molti. E se anche Vannacci davvero non avesse voluto dire che dovremmo tornare alle classi speciali, separando alunni con disabilità e bisogni specifici (quali? quando?) dagli altri, è comunque questa la questione attorno a cui il paese sta discutendo da due giorni. Un pensiero che – sdoganato da lui oggi e in modo diverso da Ernesto Galli Della Loggia ieri – comincia a non essere più un tabù. 

Totem e tabù

Che l’argomento “inclusione” non sia un tabù, è un bene. Fingere però che questo equivalga a dire che l’inclusione è un mito, è un male. Oltre che una menzogna. L’accelerazione in questa direzione però è stata pazzesca, mentre è esattamente quello il punto su cui dovremmo creare un argine. Dovremmo infrangere il tabù, senza trasformare le crepe in un totem. Al di là del dubbio (legittimo) se sia meglio, oggi, reagire o stare in silenzio e se parlare significhi soprattutto stare al gioco di chi vuole sollevare polveroni elettorali per farsi notare. Il discrimine è quello. Affrontare apertamente le criticità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità senza aprire varchi alla possibilità di un ritorno delle scuole o classi separate (si legga in proposito il bel documento con cui la Società italiana di pedagogia speciale-SipeS ha risposto a Ernesto Galli Della Loggia nei mesi scorsi).

Nessuno dirà mai, rewind

Se riavvolgiamo il nastro, la timeline è impressionante. Solo cinque mesi fa, a novembre, Dario Ianes, esperto di pedagogia inclusiva e di inclusione scolastica, affermava che «qui da noi nessuno dirà mai “torniamo alle scuole speciali”, però c’è uno scetticismo strisciante visto che il 23% crede che l’alunno con disabilità grave dovrebbe stare per lo più nell’aula di sostegno». Lo diceva presentando i dati shock di una ricerca per cui l’inclusione scolastica è «utopistica e irrealizzabile» per una persona su tre (32%), con il 47% degli insegnanti che pensano che, se la disabilità è grave, una vera inclusione non è fattibile. Non ho visto prime pagine sui giornali dedicate a quella ricerca. E non parlava così “la pancia del paese”, come ci piace pensare: le risposte venivano da un campione composto da insegnanti, educatori, genitori… persone con buona probabilità orientate favorevolmente verso l’inclusione e verosimilmente impegnate per realizzarla. Ianes non stava riproponendo le classi speciali, stava semplicemente dicendo che l’inclusione scolastica oggi in Italia non funziona come dovrebbe: o almeno, non sempre e non ovunque.


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Un concetto che – lo scrivevamo già a gennaio in occasione del dibattito sollevato dal doppio editoriale di Galli Della Loggia – le associazioni che rappresentano le persone con disabilità e le loro famiglie dicono da tempo: era il 2021, per esempio, quando Roberto Speziale, presidente di Anffas, su VITA descrisse che l’inclusione scolastica come «una macchina con il motore acceso e una forza motrice importante, ma con tutte le quattro ruote nel fango». Non ci sarebbero altrimenti proposte di legge come quella della cattedra mista o, all’opposto, della cattedra di concorso separata per il sostegno: posizioni radicalmente differenti ma accomunate dalla consapevolezza che serve fare un passo in avanti ulteriore. 

Riformare l’inclusione

Il ritorno alle classi differenziali non è un’ipotesi, su questo non c’è e non ci può essere dubbio alcuno: «Non faremo mai passare l’idea che di questo si possa anche solo discutere», ribadisce Vincenzo Falabella, presidente della Fish, due giorni dopo le dichiarazioni del generale Roberto Vannacci. Ma allo stesso tempo non c’è dubbio che l’inclusione scolastica odierna ha bisogno di essere rivista, radicalmente: «La scuola in tanti casi, soprattutto per le disabilità più impegnative, è diventata un luogo di parcheggio», aggiunge. Parole molto nette. E rilancia: «Dobbiamo sfruttare in maniera costruttiva l’attenzione che oggi c’è sul tema, per ribadire che la scuola deve essere rivista. Dobbiamo dare maggiori risposte ai bisogni specifici, dobbiamo andare oltre la standardizzazione su cui abbiamo costruito i nostri servizi. Una formazione “da front office”, uguale per tutti, non va più bene. Che ci sia una disabilità o meno. Tanti ragazzi hanno bisogno di più sostegni, che non significa “più sostegno”: dobbiamo garantirglieli», dice. 

La scuola deve essere rivista. Dobbiamo dare maggiori risposte ai bisogni specifici, andare oltre la standardizzazione su cui abbiamo costruito i nostri servizi

Vincenzo Falabella, presidente Fish

“Più sostegni” vuol dire «innanzitutto una maggiore formazione degli insegnanti di sostegno sulle diverse condizioni di disabilità, l’insegnante deve sapere come comportarsi per facilitare le relazioni tra l’alunno e il contesto della classe, la nostra proposta di cattedra separata per gli insegnanti di sostegno va esattamente in questa direzione», spiega Falabella. Il secondo punto è che «serve un sistema di sostegni, perché noi troppo spesso pensiamo che l’inclusione dipenda dal singolo insegnante di sostegno, che dovrebbe essere presente per tutte le ore di scuola, in un rapporto uno a uno con l’alunno. Non può essere così. C’è un sistema di sostegni e di accomodamenti ragionevoli da mettere in campo e con il nuovo Pei e il nuovo progetto di vita personalizzato previsto dalla riforma della disabilità potremmo veramente andare in questa direzione. Sta per partire un processo in cui scuole e territorio hanno un ruolo molto importante e potremmo dare una risposta soddisfacente ai bisogni delle persone». 

Locatelli dixit

Intanto, finalmente, dopo le parole di Salvini sono arrivate anche quelle della ministra leghista Alessandra Locatelli, apprezzata ministra per le disabilità. «Io penso che parli da solo il lavoro che stiamo portando avanti con tanto impegno, io, in generale la Lega ma anche questo governo. In Italia abbiamo delle norme, per esempio quella sull’inclusione scolastica, che sono di ispirazione e di modello anche per tanti altri paesi e per il resto del mondo. Questo principio è contenuto nella convenzione Onu, che ogni tanto qualcuno si dimentica che anche quella è legge nel nostro paese», ha detto a margine di un incontro tenutosi a Perugia in vista del G7 delle disabilità che si svolgerà ad ottobre in Umbria.

«Quello che mi dispiace», ha aggiunto, «è che in questi giorni stiamo dedicando tanto tempo ad una polemica, mentre il governo una decina di giorni fa ha approvato un’importante riforma che riguarda tutto il mondo della disabilità e che cambia la vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie, che cambia la presa in carico della persona con disabilità, perché attraverso il progetto di vita superiamo l’estrema frammentazione tra la dimensione sanitaria, socio-sanitaria e sociale. Ecco questo è passato un pochino in secondo piano e questo mi dispiace. Serve davvero un’attenzione maggiore da parte di tutti, un cambio di passo che passa anche dal cambiare il nostro modo di vedere le cose, non più immaginando di discriminare qualcuno ma valorizzando i talenti e le competenze di ogni persona: questo è contenuto nel decreto attuativo che riguarda il progetto di vita e questo è alla base del lavoro che io voglio portare avanti anche con il prossimo G7».

Foto di omid montazami su Unsplash

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