Formazione
Inclusione scolastica: il caso di Novellara
«Per creare una società multiculturale bisogna partire dai bambini», dice Raul Daoli, l’ex sindaco del Comune reggiano che ha scritto un libro per spiegare come si fa vera integrazione
«Le nazioni rappresentate all’Onu sono 194. Nella scuola italiana (dato 2012) sono presenti figli di immigrati con 185 cittadinanze (e relative lingue madri) diverse. E più di un milione di quei bambini (l’80 per cento dei quali frequenta le scuole dell’infanzia) che continuiamo a chiamare stranieri o peggio extracomunitari sono nati in Italia. Una sfida e un’opportunità enorme che la scuola non può affrontare da sola, e dove l’apporto del territorio e la capacità di fare rete hanno un’importanza strategica vitale».
Lo scrive Raoul Daoli nel suo libro “La Padania dell’integrazione” (Editrice Missionaria Italiana, pp. 64, 7 euro) dedicato al progetto di inclusione avviato durante i suoi dieci anni da sindaco di Novellara, Comune di 13.668 abitanti in provincia di Reggio Emilia dove il 16% della popolazione è straniera. Un paese-laboratorio dove si è capito che «l’integrazione parte dai bambini e, soprattutto, dalla loro istruzione, poiché superando barriere e pregiudizi che ostacolano la creazione di una società multiculturale si agisce nella società di oggi per costruire, nel presente, la società futura, i cittadini del domani».
Perché ha scelto di scrivere questo libro e di intitolarlo proprio così?
Il titolo non l’ho scelto io, ma non vuole essere una provocazione politica. A me comunque piace dire che oltre agli “incendiari” che usano i messaggi politici come fossero fiammiferi da lanciare in una foresta poi ci sono anche i politici che fanno i “piantumatori”, un lavoro molto più lungo e faticoso. Io nel mio piccolo in questi dieci anni come sindaco ho cercato proprio di fare il piantumatore. Consapevole che una comunità sta insieme nella misura in cui sa condividere i problemi. E siccome spesso le iniziative come la nostra non arrivano ai telegiornali, questo piccolo documento vuol essere un segno per dire che un futuro di integrazione è possibile.
Voi come ci siete riusciti?
Abbiamo fatto una politica di integrazione diffusa, di ascolto, di partecipazione. Con grandi risultati, ma senza nascondere i problemi, come quello della pratica del matrimonio forzato. Noi però abbiamo le seconde e terze generazioni e il fatto che si rivolgano a noi come istituzione e ci chiedano aiuto è segno che in Italia ci sono persone responsabili che ogni giorno, con fatica, costruiscono ponti e non muri.
Il libro comincia con la storia della ragazzina cinese Li. Ma non è una storia a lieto fine…
«Ho voluto aprire il libro con questa storia perché penso che per affrontare le cose non sia sbagliato essere coinvolti emotivamente. E che dobbiamo abituarci a vedere negli occhi delle persone. Quella di Li è una delle tante esperienze fatte in questi anni. Storie di ragazze e ragazzi dagli occhi sognanti, desiderosi di un futuro emancipato. Ragazzi capaci, volenterosi, riconoscenti, ma schiacciati tra schemi di conservazione e comportamenti discriminatori. Queste storie ci dicono che dobbiamo metterci in gioco e ricercare tutti insieme, come comunità, le risposte e le soluzioni».
Dobbiamo sempre ricordare che dietro a tante parole difficili, a tanti propositi programmatici, ci sono sempre le persone, i loro bisogni, i loro vissuti. Per riuscire nel cammino di una società plurale e di pace, dobbiamo partire da lì
Raul Daoli
Il progetto di inserimento scolastico che avete promosso a Novellara è molto articolato. Quali sono i principali interventi?
La strategia che a Novellara abbiamo portato avanti in questi anni è rappresentata dal «Piano di lavoro e ricerca sulla cittadinanza multiculturale» del nostro Istituto Comprensivo che mira a un percorso personalizzato per ogni alunno grazie all’attenzione alla persona, il coinvolgimento delle famiglie, la presenza di volontari, l’impegno degli insegnanti. Questo modello, pur non essendo perfetto, rappresenta la “via italiana all’integrazione degli alunni stranieri”. Anche se devo riconoscere che negli ultimi due anni c’è stata una svolta e un’attenzione maggiore da parte del ministero della Pubblica Istruzione e che le leggi sull’integrazione scolastica ci sono, io negli anni in cui sono stato sindaco (dal 2004 al 2014, ndr) ho sempre applicato il principio che bisogna essere un passo avanti a quanto c’è scritto nelle norme. E volevo dare il segnale che le cose vanno fatte così».
La vostra esperienza può essere riproducibile altrove?
Nessuno pensa di avere la soluzione pronta e la verità in tasca. Ogni comunità deve cucirsi addosso un vestito in base anche alla realtà che si vive e alle persone (dagli insegnanti alle associazioni di volontariato) che vi operano. Certo è che solo i territori che meglio hanno saputo cogliere la portata politica di questo cambiamento e che hanno creduto nella scuola prima di tutto, sono oggi i più “competitivi” e ricchi di vivacità e coesione. Il senso della nostra esperienza è un appello alla collaborazione di tutti. E credo che possa dare un ulteriore contributo al dibattito sull’accoglienza ai migranti, di grande attualità in questo momento. L’importante per me è avere sempre chiaro in testa un orizzonte, sapere che tipo di città si vuole tra vent’anni. Chi invece si fa prendere dalle paure, magari ottiene una sicurezza immediata, ma non costruirà mai niente di buono per il futuro».
Foto GettyImages
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