Collocamento speciale

Inclusione scolastica (e lavorativa): è davvero un mito?

«Il processo di integrazione scolastica degli alunni con disabilità è iniziato alla fine degli anni Settanta in parallelo con l’evoluzione della disciplina del collocamento speciale nel mercato del lavoro», osserva Emmanuele Massagli, Senior Fellow di Adapt. «Non è un arco di tempo sufficiente per “tirare i remi in barca”». Mai come in questa epoca, «risulta evidente l’infondatezza di etichette come “alunno con disturbi” o “alunno normale”: che incidono eccome sui processi di apprendimento e sulla transizione verso il mercato del lavoro»

di Sabina Pignataro

Ieri la giornalista di VITA, Sara De Carli ha commentato il mini editoriale firmato il 12 gennaio da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere sul tema dell’inclusione scolastica (La strana amnesia sulle mire di Tito, la falsa inclusività della scuola)

Emmanuele Massagli, Senior Fellow di Adapt (fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche di lavoro) e Presidente della Fondazione Tarantelli, estende le considerazioni includendo non solo l’ambito scolastico, ma anche quello lavorativo.

«L’educazione sociale è un processo lento, che ha bisogno di testimoni efficaci della fondatezza delle ragioni e istituzioni in grado di maturare e fare maturare una nuova coscienza», osserva.

«Il processo di integrazione scolastica degli alunni con disabilità è iniziato alla fine degli anni Settanta in parallelo con l’evoluzione della disciplina del collocamento speciale nel mercato del lavoro; quello di inclusione (che dell’integrazione è l’evoluzione) anche lavorativa solo a cavallo di secolo; da meno di quindici anni si parla anche di personalizzazione (che è il gradino successivo). Non è un arco di tempo sufficiente per “tirare i remi in barca” e consegnare la pedagogia speciale alle pagine del “mito”, dimenticando che la scuola non ha esclusivamente una funzione di istruzione e preparazione alla vita adulta (sia in termini civici che lavorativi), bensì anche – se non soprattutto – quella di educazione e inclusione nella società».

Mai come in questa epoca, aggiunge, «risulta evidente l’infondatezza di etichette come “alunno con disturbi” o “alunno normale”: anche le aule ove insegna Galli Della Loggia sono vissute da giovani con storie personali estremamente diverse, assai variegate, non riducibili a una qualche “media antropologica”, da cui derivano debolezze e difficoltà, temporanee o croniche, che incidono eccome sui processi di apprendimento e sulla transizione verso il mercato del lavoro».

«È questo – conclude- il motivo, filosofico, pratico, ma anche giuridico per il quale è necessario che ogni persona con disabilità, con disturbi specifici di apprendimento e con bisogni educativi speciali (senza sigle!) abbia la possibilità di incontrare i suoi coetanei, crescere con loro, partecipare alla vita sociale e lavorativa, avere la possibilità di entrare in relazione con educatori che sappiano guardarlo oltre il suo limite. In fondo, è quel che desidera chiunque di noi».

Photo in apertura by Marcus Aurelius su Pexels

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