Disabilità

Inclusione lavorativa? In Italia abbiamo gli anticorpi contro chi vuol tornare indietro

La richiesta di adeguarsi alle nuove direttive americane in fatto di Dei ha sollevato le proteste delle associazioni. Ma a che punto è l'inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia? Sorpresa: negli ultimi anni il nostro Paese ha fatto molti passi in avanti

di Veronica Rossi

giovane lavoratore con Sindrome di Down

Qualche giorno fa, ha fatto discutere la richiesta di adeguarsi alle nuove direttive americane in fatto di Dei arrivata dall’amministrazione Trump alle aziende italiane che intendono avere rapporti commerciali col Governo statunitense (ne abbiamo parlato qua). Ma qual è lo stato di salute dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia, al di là delle boutade dei politici stranieri?

«Abbiamo degli “anticorpi” nel nostro sistema politico e legislativo, che non possono essere smantellati dall’azione di un capo di Stato», afferma Paolo Bandiera, presidente di Aism. «Non c’è solo la Legge 68. Ricordo che a ottobre scorso abbiamo sottoscritto la “Carta di Solfagnano”, in cui i Paesi del G7 si prendono l’impegno di valorizzare i talenti delle persone con disabilità in tutti i contesti. È un tema che appartiene a molte agende: la strategia europea 21-30, per esempio o l’Agenda 2030 dell’Onu».

Molte realtà che si occupano di inclusione lavorativa affermano che stiamo andando nella direzione giusta, anche se i passi da fare sono ancora tanti. I dati dell’ultima relazione al Parlamento sull’attuazione della Legge 68 – quella che norma, appunto, il diritto al lavoro per le persone con disabilità – non erano confortanti (qua l’articolo), ma a essere prese in considerazione erano le annualità 2020-2021, segnate dalla pandemia di Covid-19.

«Confido che l’aumento occupazionale abbia portato dei benefici anche in questo ambito», commenta Alberto Fontana, presidente di Fondazione Serena e di Fondazione Aurora e direttore di Spazio Aperto, cooperativa sociale milanese che da 40 anni opera nel campo dell’inclusione lavorativa. «Quello che ancora manca è un’idea di responsabilità sociale sul tema dell’inserimento lavorativo, che viene ancora vissuto come elemento di costrizione».

Portatori di benessere

L’obbligo di legge non basta. Serve un salto culturale, la consapevolezza che avere una persona con disabilità all’interno di un’azienda può essere arricchente per tutti. È proprio in questa direzione che vanno le campagne organizzate da CoorDown, associazione che promuove i diritti e le opportunità delle persone con sindrome di Down. «Più persone lavorano, più storie raccontiamo, più le aziende si sensibilizzano», racconta Martina Fuga, la presidente. «Nel 2021, in occasione del World down syndrome day, abbiamo lanciato una campagna sul mondo del lavoro, The hiring chain, che parlava proprio di questo. Così si riesce a smantellare il pregiudizio che chi ha una disabilità – soprattutto intellettiva – non possa lavorare». E il racconto dell’associazione sta funzionando.

Ci sono sempre meno aziende che vengono a chiederci di coprire le categorie protette. Sempre più vogliono assumere una persona con sindrome di Down al di là degli obblighi di legge

Martina Fuga, CoorDown

«Ci sono sempre meno aziende che vengono a chiederci di coprire le categorie protette», continua la presidente, «ma sempre più che ci dicono che vogliono assumere una persona con sindrome di Down al di là degli obblighi di legge». Secondo Fuga, le imprese iniziano a non vedere l’assunzione di dipendenti con disabilità come un atto di carità, insieme alla compliance della normativa, o come un “simbolo” da mettere sul sito per mostrarsi inclusivi all’esterno. «Penso che negli ultimi anni le aziende abbiano capito che una persona con disabilità può portare valore nell’organizzazione», dice, «in termini di benessere dell’ambiente in generale».

La campagna “The hiring chain”

«In tutte le aziende con cui collaboriamo vedo un grande interesse, che va al di là della semplice burocrazia», commenta Fabrizio Acanfora, attivista autistico e direttore della comunicazione di Specialisterne Italia, realtà che si occupa di formazione e di inserimento lavorativo di persone autistiche. «Mi ha colpito molto un episodio. Stavo facendo una formazione sulla neurodiversità e le neurodivergenze per un’azienda in cui è inserita una persona di Specialisterne. La manager ci ha detto che un giorno in cui stava spiegando al dipendente una procedura molto complessa, si è ricordata di chiedere – come le avevamo suggerito – se era tutto chiaro, senza dare per scontato che tutti comunicassero allo stesso modo. La persona le ha risposto che sarebbe stato meglio se la spiegazione fosse stata più schematica; lei è tornata a casa e si è messa a creare uno schema per quella procedura: alla fine si è accorta di aver semplificato moltissimo la spiegazione e ha creato un power point che adesso utilizzerà per tutti i dipendenti».

Aspettative basse

Per quanto la situazione sia in miglioramento, il cammino da percorrere è ancora lungo. Innanzitutto non tutte le aree sono uguali: se le grandi città hanno fatto tantissimi passi avanti nell’inclusione lavorativa, non si può dire la stessa cosa per altri contesti, più marginali, in cui la cultura del rispetto delle diversità e della valorizzazione delle differenze fa più fatica ad attecchire. In generale, poi, le aziende non sono ancora in grado di inserire una persona con disabilità da sole, solo con lo strumento della Legge 68: è indispensabile la presenza di un’associazione o di una realtà che si occupa di questo – come CoorDown o Specialisterne – perché c’è bisogno di formazione e di tutoraggio, oltre all’aiuto in fase di selezione. «Si deve fare anche monitoraggio», aggiunge Fuga. «All’inizio, soprattutto per quanto riguarda la disabilità intellettiva, le aspettative del datore di lavoro sono talmente basse che tutto sembra funzionare straordinariamente bene; poi però la persona da una parte può incontrare delle difficoltà, dall’altra può avere ambizioni di crescita, come tutti noi, aumentando responsabilità e mansioni, e in questo ha bisogno di supporto».

Valorizzare gli individui

Non conta, infatti, solo la presenza o l’assenza del lavoro nella vita di una persona, ma anche la sua qualità. «Bisogna scardinare lo stigma secondo il quale la persona con disabilità è improduttiva», commenta Vincenzo Falabella, presidente di Fish. «Bisogna darle la possibilità di mettersi in gioco e di essere valorizzata per le sue competenze, non di essere assunta per la sua condizione. Noi chiediamo che si possa arrivare a una modifica sostanziale della Legge 68, perché il mercato del lavoro è cambiato: è molto più dinamico e aperto, non possiamo pensare che l’assunzione delle persone con disabilità passi attraverso i centri per l’impiego, strutture ormai obsolete».

Come si potrebbe fare, però, per rinnovare i meccanismi di selezione in modo da valorizzare gli individui in quanto tali? «Si dovrebbe sensibilizzare i datori di lavoro – soprattutto nelle piccole e medie imprese, che costituiscono il 90% delle imprese italiane -, facendogli comprendere che investire nel lavoro delle persone con disabilità può essere un valore. Non bisogna avere paura della condizione di disabilità, ma dare la possibilità al lavoratore, laddove ci siano capacità, requisiti e attitudini di svolgere le mansioni, indipendentemente da essa». A beneficiare della sensibilizzazione sarebbero soprattutto le donne con disabilità, che vivono una doppia discriminazione sul mondo del lavoro e hanno tassi di occupazione molto bassi.

Tutti questi interventi non dovrebbero, tuttavia, essere demandati alla buona volontà di un’azienda o di un imprenditore. «Il lavoro dovrebbe essere un diritto, garantito a tutte le persone, a prescindere dalla disabilità, dagli orientamenti sessuali, dal genere, dalla provenienza», conclude Acanfora, «La discriminazione non dovrebbe esserci e non può essere responsabilità della singola impresa».

In apertura, foto di Michele Nucci/LaPresse. Presentazione del progetto della pizzeria “Porta Pazienza” food-truck pizzeria per l’inclusione sociale di ragazzi con sindrome di Down, autismo e con varie disabilità

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