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Incentivi fiscali, terzo settore in trincea

Edoardo Patriarca, portavoce del Forum, riapre il capitolo degli sgravi: «Senza un regime agevolato a chi conviene fare impresa sociale? Non vogliamo assistenza, ma aiuti»

di Ettore Colombo

Tornare all?idea di un regime fiscale agevolato per le future imprese sociali. È la richiesta del terzo settore, nelle parole del portavoce del Forum, Edoardo Patriarca che si dichiara moderatamente soddisfatto dell?approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, del decreto attuativo che regola la legge delega sull?impresa sociale . «Ho apprezzato», dice Patriarca, «il buon lavoro portato avanti dalla senatrice Sestini (il sottosegretario al Welfare che ha seguito tutto l?iter della normativa, ndr) anche se mi dispiace molto perché non ha voluto consultare le organizzazioni sindacali sui decreti attuativi del decreto. Certo è che il rinvio della questione fiscale è un aspetto delicato e importante della materia». «Senza un regime fiscale agevolato», spiega Patriarca, «a chi conviene fare impresa sociale, specie se vuole, come dovrebbe, gestire beni pubblici pur restando un soggetto di diritto privato? La leva fiscale è un crinale decisivo. Il decreto attuativo, peraltro, pone già molti vincoli e temo che, ove non vi fosse il riconoscimento della funzione pubblica dell?impresa sociale, converrebbe poco dare ad essa vita. Mettiamola dunque subito in agenda politica, la questione fiscale. Si parla tanto di incentivi alle imprese: spettano anche alle imprese che vogliono fare impresa sociale. Che non va assistita, ma aiutata sì». Dal mondo cattolico arriva il commento della Compagnia delle Opere, che esprime il suo «vivo apprezzamento» per l?approvazione del testo, secondo le parole del presidente Raffaello Vignali. Ma è il direttore della Pastorale del lavoro della Cei, don Paolo Tarchi, a esplicitare a chiare lettere il giudizio della Chiesa cattolica sull?argomento: «Innanzitutto è positivo che vada in porto il decreto, che consente alle attività del privato sociale di qualificarsi come soggetti che puntano all?efficienza di beni e servizi di utilità sociale per le persone. Fino ad ora c?era la cooperazione sociale, ora abbiamo uno strumento ulteriore, che consente al privato sociale di essere all?altezza delle sfide dei tempi. Poi, in futuro, altri istituti, sia giuridici che fiscali, potranno affiancarsi a questo ma se non si chiudeva la partita dell?impresa sociale entro questa legislatura ormai agli sgoccioli, rischiava di saltare tutto». Tarchi esprime il suo giudizio anche su uno degli altri aspetti più controversi del nuovo testo, vale a dire l?obbligo di redigere il bilancio sociale. «Si tratta», dice, «di un elemento di trasparenza e democrazia all?interno dell?impresa sociale, quindi ogni presenza dei soggetti interessati è un contributo positivo, proprio come avviene con la presenza del bilancio sociale nelle imprese profit». Negativo senza appello, invece, il giudizio dei sindacati. «Un?impresa è sociale per gli obiettivi che persegue e per come li persegue, non solo per i campi di attività in cui opera e per l?assenza del fine di lucro. Esattamente il contrario di quanto prevede il decreto», scrivono in una nota congiunta i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil Achille Passoni, Ermenegildo Bonfanti e Nirvana Nisi. In particolare, i sindacati hanno appuntato le loro critiche sul ruolo ritenuto «marginale» riservato ai lavoratori nell?impresa sociale e la possibilità «di ridurre la retribuzione al lavoratore disabile», una sorta di salario d?ingresso, norma, a dire la verità, poi rientrata, una volta letti i decreti attuativi. «L?impresa sociale nasce male», afferma in sintesi Savino Pezzotta, segretario della Cisl. «Non ci hanno consultati su un tema così delicato», lamenta, «neppure quando riguardava il tema del lavoro, e viene espunta la partecipazione dei lavoratori, aspetto cruciale».


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