Ha portato un pezzo di mondo nel cuore della sua
Toscana,
Andrea Bocelli. Per l’inaugurazione della fondazione che porta il suo nome, si sono riuniti nell’auditorium dell’Opera Primaziale Pisana, letteralmente all’ombra della Torre di
Pisa, i maggiori esperti di
interazione uomo-computer, provenienti dalle
Università di Palermo,
Pisa,
Firenze, dalla
Scuola Superiore di Sant’Anna e dal prestigiosissimo
Massachussetts Institute of Technology (
MIT) di Boston . Sono il fior fiore della ricerca tecnologica internazionale, eppure l’evento non ha nulla di elitario, tra il pubblico altri ricercatori, informatici e poi i diretti interessati, quelli a cui la ricerca cambia davvero la vita: i
non vedenti. Superare l’handicap, inteso come ostacolo e promuovere soluzioni tecnologiche in grado di aiutare le persone ad andare oltre i limiti imposti dalla disabilità: questo il tema a cui è stato dedicato il primo dei due workshop, organizzati dall’
Andrea Bocelli Foundation che in questi giorni presenta in Italia i risultati dei primi mesi di attività. Il secondo appuntamento affronterà tematiche relative alla riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo e avrà tra i relatori,
Muhammed Yunus, premio
Nobel per la Pace 2006.
Sono proprio il limite ed il suo superamento a rappresentare il filo rosso che attraversa tutti i progetti promossi dalla fondazione lanciata nel Novembre 2011 a Los Angeles, con la missione di aiutare le persone ad andare oltre le barriere imposte dalle disabilità, dalla malattia e dalla povertà, "con la speranza", spiega Bocelli "di promuovere innovazioni importanti e sostenere progetti di cooperazione efficaci".
Per l’inaugurazione della Fondazione in Italia avete stretto l’attenzione su tecnologia e innovazione, perché questa scelta?
Sono sempre stato un appassionato di tecnologia ed è un tema che mi tocca molto da vicino. Se trenta o quarant’anni fa avessi potuto studiare con i mezzi che ci sono oggi, avrei quasi rischiato di diventare colto! Non è passato molto tempo da quando per un non vedente, avere accesso ai libri era davvero difficilissimo. Oggi un semplice tablet ne può contenere migliaia. I computer possono essere collegati ad un display braille e poi esiste la sintesi vocale che legge i testi a chi non può vedere le parole. Dal punto di vista degli studenti le cose sono migliorate moltissimo. Rimane però ancora molta strada da fare. Adesso la tecnologia deve concentrarsi sul favorire la mobilità delle persone con disabilità visiva, che devono potersi spostare nello spazio sempre di più e in modo sempre più indipendente. E’ per questo che abbiamo attivato una collaborazione con il Massachussets Institute of Technology.
Come è nata la collaborazione tra la vostra Fondazione e l’MIT?
E’ cominciato tutto con una
sfida. Avevo incontrato il professor Dahleh, dell’MIT, dopo un mio concerto, negli Stati Uniti. Ci siamo fermati a cena insieme e io l’ho sfidato a studiare uno strumento risolutivo per tutti quelli che sono i problemi legati alla disabilità visiva. E’ così che è nato
Fifth Sense, il progetto sviluppato proprio all’interno del
laboratorio di
intelligenza artificiale del MIT e finanziato dalla fondazione per l’intero 2012. Fifth Sense coinvolge un team
multidisciplinare che sta lavorando alla realizzazione di uno strumento innovativo in grado di permettere ai non vedenti di muoversi liberamente nello spazio circostante. Si tratta di costruire una sorta di
sostituto dell’
occhio umano. Inutile dire che sia una bella sfida, perché l’occhio umano è stato creato da uno scienziato speciale…
La ricerca scientifica e tecnologica è solo uno dei campi in cui opera la fondazione. Quali sono gli altri?
La nostra attività è articolata in due programmi. Fifth Sense è sviluppato nell’ambito del programma
SFIDE, che appunto intende raccogliere sfide importanti sia in termini di investimenti da compiere che di risultati da raggiungere nei campi dell’innovazione scientifica, tecnologica e sociale, per promuovere il superamento di barriere fisiche o economiche e favorire la piena espressione di sé. La fondazione affronterà altre tematiche urgenti. Per questo abbiamo attivato anche un altro programma,
BREAK THE BARRIERS che ha come obiettivo il sostegno e la promozione di progetti a favore delle
fasce più deboli della popolazione, in Italia e nei paesi in via di sviluppo.
Il lavoro della Fondazione è appena agli inizi. E’ soddisfatto dei risultati ottenuti fino ad ora?
Sono molto soddisfatto. Questo evento ha raccolto molto interesse, una grande partecipazione e ci sono delle ottime premesse per i progetti di ricerca che abbiamo attivato, ora ci vuole un po’ di pazienza. Il tempo, si sa, è galantuomo.
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