Morti sul lavoro
L’inaccettabile prezzo della sottovalutazione del rischio
La tragedia del cantiere di Firenze ha riportato per l'ennesima volta in primo piano le morti bianche. Il punto con Paolo Ricotti, presidente del patronato Acli
di Alessio Nisi
L consapevolezza che le sanzioni da sole non bastano e non hanno la forza per incidere in modo marcato sulle morti sul lavoro, oltretutto in un contesto in cui le ispezioni sui cantieri sono scarse e il personale che le compie è ridotto ai minimi termini. Che fare allora davanti all’ennesima tragedia che si consuma in un cantiere, nello specifico quello di Esselunga a Firenze, che oggi ha coinvolto otto operai? Occorre lavorare sulla cultura della sicurezza da una parte, fino a portarla nelle scuole, alla stregua di ogni altra materia. Si conterrebbe in questo modo il rischio sottovalutazione del pericolo da parte degli operai anziani e di quelli più giovani. Ma anche la cultura da sola non basta. Occorre mettere in campo misure che si confrontino con le imprese, sul loro stesso campo di azione.
Una soluzione possibile? Detassare le aziende che investono in sicurezza e prevedere accessi a bandi e appalti solo per le società veramente virtuose. «Non basta un bollino o una certificazione», sottolinea Paolo Ricotti, presidente del patronato Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani – Acli. Le persone coinvolte nel crollo del supermercato a Firenze sono state otto. Due le vittime, tre gli operai dispersi (per i quali le speranze sono ridotte a lumicino) mentre altri tre sono stati estratti vivi e ricoverati in codice giallo.
La formazione e la cultura della sicurezza
Il presidente del patronato Acli sottolinea l’importanza di dare sostanza e concretezza ai corsi di formazione sulla sicurezza. «Si catalogano in base alla durata», lamenta, e non in base ai contenuti che offrono e a «quanto si apprende». Ma la formazione non è solo un corso specifico, una volta ogni tanto. «Quello che conta veramente è la cultura della sicurezza», che «va portata nelle scuole». In questo senso, Ricotti ricorda come «gioca un ruolo importantissimo l’approccio che abbiamo al tema. Le leggi ci sono, le sanzioni anche, i corsi di formazione pure, ma spetta al lavoratore rendersi conto del contesto e inserire gli elementi di sicurezza nelle diverse fasi del lavoro». Per Ricotti, non a caso, «la maggior parte degli infortuni sul lavoro sono nelle fasce di lavoratori più giovani e più avanti negli anni: in entrambe c’è una sottovalutazione del pericolo».
Valutazioni reali di sicurezza
Formazione vera, sanzioni, cultura della sicurezza, ma anche percorsi premiali (anche con la leva fiscale o attraverso i bandi e la possibilità di lavorare con il pubblico) per «le imprese che investono sul serio in sicurezza, non in bollini o certificazioni, in percorsi reali».
Fare di più con le risorse dell’Inail
Ricotti chiama in causa anche i dispositivi di sicurezza dell’Inail, che «ogni anno spende dai 2 ai 3 miliardi in meno di quanto incassa dalle trattenute sulle buste paga dei lavoratori» e non li «può spendere in dotazioni per la sicurezza». Si tratta di «bandi poco noti e che andrebbero semplificati». Fare di più, è questo la direzione, «con le risorse che l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro già trattiene».
In apertura, il cantiere luogo dell’incidente, gli operai del cantiere osservano i soccorsi. Foto di Marco Bucco/LaPresse
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