Ambiente
In un territorio sempre più fragile i migranti climatici saranno gli italiani
A colloquio con Virginia Della Sala, giornalista che ha appena pubblicato un saggio sulle conseguenze degli ultimi eventi estremi. "Migrare in casa", questo il titolo del volume che dall'alluvione di Firenze del 1966 alle ultime della Romagna mostra l'impatto nella nostra quotidianità di un fenomeno globale come il climate change
Mario Maggi è morto a Firenze la notte tra il 3 e il 4 novembre 1966, nella grande alluvione causata dallo straripamento del fiume Arno. È stato ufficialmente riconosciuto vittima dell’alluvione solo 57 anni dopo, nel 2023, a seguito di una lunga battaglia legale intrapresa dalla famiglia. È con il racconto di questa vicenda che si apre il saggio Migrare in casa della giornalista Virginia Della Sala, pubblicato da Edizioni Ambiente nella collana VerdeNero Inchieste in collaborazione con Legambiente.
Secondo l’autrice, la storia di Maggi ha qualcosa in comune con quella di chi, negli ultimi anni, in Italia, è stato costretto a spostarsi dalla propria abitazione a causa di eventi climatici estremi.
Partendo da queste testimonianze e analizzando i problemi di un territorio vulnerabile agli effetti del riscaldamento globale, tra i ghiacciai che si ritirano a nord e il rischio di desertificazione a sud, Della Sala mostra come la migrazione climatica stia diventando un fenomeno sempre più rilevante anche in Italia, sollevando interrogativi sulle responsabilità delle istituzioni e della politica nel gestire e prevenire tali fenomeni. «Ho voluto esplorare quale potrebbe essere il nostro futuro – che, in parte, è già il nostro presente – e la direzione verso cui rischiamo di andare se non interveniamo tempestivamente», spiega Della Sala.
Cioè, in che direzione rischiamo di andare?
Quella in cui popolazioni nelle aree a rischio idrogeologico, siccità ed erosione costiera potrebbero essere costrette a ripensare il proprio futuro, passando da spostamenti temporanei a un trasferimento definitivo.
Cosa ti ha spinta a scrivere un libro su questo argomento?
Sono stati i numeri. I dati mostrano che negli ultimi anni si è verificato un aumento degli sfollati per cause climatiche. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre – Idmc, un’organizzazione internazionale che raccoglie e studia i dati sulle migrazioni interne ai Paesi, nel 2023 in Italia si sono registrati circa 50mila spostamenti, il doppio rispetto all’intero decennio precedente, una tendenza confermata anche da Cnr, Irpi e Ispra.
Quindi, qual è la differenza tra sfollato e migrante climatico?
Secondo me non c’è più differenza. Il concetto di migrante climatico, ancora non ufficialmente riconosciuto, è sfuggente. Spesso lo associamo a chi proviene da Paesi meno sviluppati o a chi si sposta a piedi dopo una catastrofe, ma anche noi ci spostiamo per ragioni simili: salvarci, sopravvivere, cercare condizioni migliori. Pochi migranti partono con l’intenzione di non tornare, come in Italia. Si parte per un’emergenza, ma se al ritorno si trova la casa distrutta o le condizioni di vita sono insostenibili, restare altrove diventa inevitabile.
Perché molte persone in Italia, nonostante i disastri ambientali, rimangono nelle zone colpite?
Molte persone non possono andarsene. Ho intervistato una donna, la cui casa è stata alluvionata tre volte. Quando le ho chiesto se pensasse di trasferirsi mi ha risposto: «Questa casa l’ho pagata 250mila euro, ma ora ne vale al massimo 30mila. Ho un mutuo, ho investito tutto». Spesso, quella che chiamiamo migrazione non è una scelta, ma una necessità senza via d’uscita.
Nel libro parli dell’efficienza dell’Italia nella gestione delle emergenze, ma anche della scarsa lungimiranza nel mettere in atto misure di prevenzione. Quali interventi strutturali potrebbero essere adottati per prevenire i danni?
Si potrebbe, per esempio, limitare il consumo di suolo, costruire su terreni già edificati e intervenire sui corsi d’acqua. Quando un fiume cresce, se gestito correttamente con sfoghi a valle, si può ridurre significativamente il rischio di esondazioni. Pur non potendo azzerarlo, è possibile contenere i danni. È essenziale individuare le aree per gli interventi, negoziare con i proprietari delle terre interessate e garantire adeguati ristori compensativi per l’utilizzo delle loro proprietà. Serve una pianificazione a lungo termine, con azioni mirate.
Quali sono le regioni italiane più vulnerabili agli eventi estremi e, di conseguenza, più interessate dal fenomeno della migrazione climatica?
Per capire quali sono questi territori, è necessario ripercorrere la geografia degli eventi estremi del passato come quelli che hanno colpito la Toscana, la Sicilia e l’Emilia Romagna. La differenza, però, è che mentre in passato c’era più tempo per riprendersi tra un evento e l’altro, oggi i disastri si susseguono con maggiore frequenza. Inoltre, per capire cosa ci aspetta dobbiamo osservare la città di Venezia, che, con l’innalzamento delle acque, la subsidenza e l’erosione costiera, rappresenta un microcosmo delle sfide climatiche che siamo tenuti ad affrontare.
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