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In Tunisia i gelsomini non nascono d’inverno

Osservare e analizzare quello che sta accadendo in Tunisia dal punto di vista delle donne è fondamentale proprio per il ruolo che hanno sempre avuto in quello che è stato il primo Paese a rivoluzionare i rapporti di genere e a battersi per le condizioni di parità delle donne nel mondo arabo-musulmano. A spiegarci a che punto è oggi il Paese oltre dieci anni dopo la "Primavera araba" è una donna che, proprio per essere stata ed essere ancora oggi in prima linea, ha richiesto di mantenere l’anonimato sulla sua identità

di Gilda Sciortino

Nel tentativo di capire cosa sia accaduto negli ultimi dieci anni, e come si sia venuta a creare l'attuale situazione in Tunisia, abbiamo intervistato una testimone d'eccezione, una donna che è stata protagonista di questi anni di cambiamento. È una delle donne leader in 12 Paesi del Mediterraneo (Italia, Francia, Spagna, Libano, Tunisia, Marocco, Libia, Algeria, Egitto, Giordania, Iraq e Palestina), venti delle quali hanno sottoscritto e dato vita alla rete Jasmine, promossa nel 2019 dalla Rete MEDITER Aisbl di Bruxelles, a conclusione del progetto “AMINA”, nell’ambito di un processo che aveva l’obiettivo di rafforzare la leadership delle donne negli Enti Locali e nelle Istituzioni del Mediteranneo.

La donna che ha accettato di rispondere alle nostre domande è una manager esperta internazionale, che ha lavorato nell'intera regione araba su questioni di genere, fenomeni socio-politici, di sviluppo, di strategia istituzionale, richiedendo l’anonimato per ragioni di sicurezza. D’altra parte, nelle scorse settimane si sono verificati numerosi arresti di uomini politici, giornalisti, sindacalisti, imprenditori e magistrati, da parte del governo guidato dal presidente della Repubblica, Kais Saied.

A lei, abbiamo chiesto di spiegarci come si è giunti all’attuale situazione di crisi politica, economica e sociale e come mai le rivolte che hanno scosso la regione araba nel 2011 non abbiano avuto l'effetto sperato. Capire, infatti, dal punto di vista dell'esperienza delle donne tunisine, cosa stia accadendo in Tunisia, nostra diretta e storica vicina, ci sembra essenziale, sia perchè la Tunisia ha avuto un ruolo di "capofila e di precursore" in questa speranza di cambiamento geostrategico, sia per lo status delle donne tunisine considerate come modello nella regione araba.

Madame, cosa sta accadendo in Tunisia dopo 12 anni dalla “Primavera Araba”? Che cosa sta incendiando il Sud del Mediterraneo?

« Innanzitutto, va detto che in Tunisia la protesta e le rivolte fanno parte della personalità intima dei tunisini, un’ attitudine che ha segnato la storia del movimento nazionale, gli scontri sindacali degli anni '70, le rivolte del Pane del 1984, le lotte nel bacino minerario nel 2008 (dovreste vedere, a tal proposito, il magnifico film “Maledetto sia il Fosfato”). Come donna tunisina, appartenente a quella generazione che ha vissuto l'Indipendenza, ho partecipato direttamente alle agende e ai piani strategici degli organismi internazionali o ai progetti di democratizzazione nella regione che si sono succeduti in tutti questi anni. Sono anche testimone del fatto che, dall'inizio degli anni 2000, diverse fondazioni, soprattutto occidentali, hanno finanziato con milioni di dollari o di euro la formazione di una "democrazia, il decentramento, le dinamiche di genere, la libertà…". La maggior parte di questi programmi sono stati gestiti da associazioni estere che hanno avuto il compito di accompagnare i cambiamenti voluti dai giovani e dalle élite della regione araba che, per la maggior parte, hanno svolto un ruolo fondamentale all'inizio delle rivolte».

Ma molte cose non sono state dette e continuano a non essere dette…

« È certamente questo il momento di sollevare il velo su quanto accaduto. Probabilmente tutto è iniziato con la "romanticizzazione", da parte dei media occidentali, di quella che è stata chiamata "La rivoluzione dei gelsomini". Ora voglio prima di tutto ricordare che questa sollevazione si è verificata in inverno, la stagione in cui il gelsomino, com’è noto, non fiorisce! Cito questo piccolo dettaglio sul modo di comunicare ciò che accade perchè è emblematico rispetto al fatto che i discorsi veicolati dai media occidentali sembravano destinati più al consumo delle opinioni pubbliche “occidentali”, che a rappresentare ciò che realmente accadeva.

In realtà, la verità storica su quanto è accaduto in questo periodo continua a essere dibattuta: dalla partenza del presidente Ben Ali all'arrivo mediatizzato e in pompa magna del leader islamista dall'esilio in Gran Bretagna (che ricorda quello di Khoumeini, nel 1970, in Iran). Questi fatti sono oggi analizzati e commentati secondo vari punti di vista, costituendo oggetto di divergenze e divisioni della società tunisina»

Si trattava di “rivolte, insurrezioni, rivoluzioni”? E a che punto siamo oggi ?

«In Tunisia, le rivendicazioni sociali si potevano riassumere con lo slogan "Lavoro, libertà e dignità nazionale". La rivolta sociale – e non politica, inquadrata e pianificata, perché il periodo non comprendeva partiti strutturati di opposizione riconosciuti – è stata alimentata da fattori che hanno amplificato la crisi. Da un lato, bisogna considerare l'entrata in vigore della democratizzazione delle reti sociali che aveva consentito la mobilitazione (e anche la manipolazione) di gruppi giovanili connessi; dall’altro, il ruolo svolto dalle potenze occidentali e dai Paesi del Golfo, principalmente il Qatar, che ha pianificato un’agenda di destabilizzazione della regione araba. La lezione dell'Iraq, in quel contesto, era stata stata chiara: nessun intervento diretto, ma stabilire "leChao" dalla rivoluzione innovativa (in arabo il Thaoura El Khallaka)».

La decisione concertata a livello internazionale sembra sia stata quella di sostenere i regimi islamisti, finanziando i partiti islamisti, per la presa del potere in tutto il mondo arabo. La televisione del Qatar, El Jazeera, si è data il ruolo pilota della manipolazione delle opinioni arabe, per amplificare fatti di cronaca o piccole manifestazioni illustrate come grandi sollevazioni popolari, con il compito di dare al discorso identitario, ai "fratelli musulmani" e al partito che ha poi bandito Nahdha, un'udienza e un ruolo che non avevano assolutamente svolto nella rivolta del gennaio 2011. Perchè?

«La verità sulle vittime, gli omicidi e le rivolte svelano il ruolo dell'Occidente in questi cambiamenti geopolitici. Se analizziamo attentamente una componente di queste stagioni di cambiamento, ovvero i milioni di dollari o di euro di finanziamento di quell’idea che veniva chiamata democrazia, governance, decentramento, società civile, rimarremmo sorpresi della parte di risorse concessa agli islamisti, ai partiti e alle nebulose delle associazioni islamiste. Per non parlare del finanziamento delle campagne elettorali e dei partiti, sino alla messa in rete del loro lobbismo globale o all'interno delle istituzioni internazionali. Dall'inizio della rivoluzione, in realtà, abbiamo assistito a un attacco alle norme e ai codici della Tunisia. Gli islamisti hanno aperto il Paese alla predicazione degli sceicchi della penisola arabica, sostenuti dai media islamisti capeggiati da El Jazeera. In Tunisia, c'è stata l'introduzione del Nikab femminile e la predicazione sull'escissione delle ragazze. Rituali e pratiche specifiche che non avevano mai interessato il Maghreb e che riguardavano, piuttosto, i paesi arabi della penisola arabica, il Sudan, l’Egitto e lo Yemen meridionali. Abbiamo vissuto un decennio di terrorismo, l'assassinio di leader politici, soldati, pastori… con lo stupefacente silenzio dei paesi occidentali. Il processo democratico, accompagnato dalla libertà di parola e dalla profusione dei media, nonché dalla democratizzazione dell'accesso ai social network, ha trasformato completamente la vita politica del Paese. All'inizio del 2012, il potere islamista ha ospitato "la conferenza degli amici della Siria", sotto l'egida di USA, Qatar e NATO, che ha dato il via libera alla partenza dei jihadisti, con il silenzio complice dell’Europa e dell’Occidente. Il capitolo del coinvolgimento del partito Nahdha negli omicidi, quello dell'invio dei terroristi è ancora aperto e la "giustizia" continua a rinviare i processi. Nell’ambito del terrorismo globale, bisogna considerare anche le infiltrazioni nelle istituzioni che illustrano la complessità del contesto, del periodo e i cambiamenti geopolitici che stiamo ancora vivendo. Senza sottovalutare le istanze profonde, condivise da tutte le categorie sociali, che hanno portato al cambio di regime di Ben Ali. È tuttavia necessario rilevare il ruolo "ambiguo" delle autorità occidentali nella destabilizzazione dell'intera regione, che ha avuto il suo cruento esempio in Libia e in Siria».

Oggi, infatti, occorre sfidare l'opinione pubblica "occidentale", più incline alla "poesia delle rivoluzioni fiorite" che ai taciti fattori sistemici e geostrategici della cosiddetta "Primavera araba" finalizzata a una ricomposizione della regione.

« Questa precisazione è utile e necessaria per comprendere la profonda crisi che stiamo attraversando dal 2011 e che oggi sta crescendo nell'intera regione araba e in Tunisia in particolare. Oggi occorre avere la distanza necessaria e possibile per analizzare questa fase del mondo arabo, guardando attraverso una specifica lente i problemi della povertà, dello status e del ruolo che hanno da decenni le donne nella regione e per decodificare le questioni, i nessi e le conseguenze di quanto accaduto e di quanto accade ancora oggi.

Dovendo fare il punto, a più di dieci anni dalla "rivolta dei gelsomini", dunque, non è escluso che si tratti di una rivolta inquadrata e canalizzata per il rafforzamento dell'Islam politico nella regione, nel quadro di una strategia di ricomposizione regionale, ai sensi dello slogan dell' “esportazione della democrazia”. Il catastrofico intervento degli Usa in Iraq ha costretto le potenze a modulare il proprio intervento, preferendo che fossero pilotate dai loro tradizionali alleati e da esponenti dell'Islam politico. Prima di parlare della Tunisia, però, dobbiamo considerare l’attuale fase di globalizzazione nella quale tutto è connesso e, dunque, ricordare l'ondata di cambiamenti che pensavamo stesse irrompendo da altre “primavere arabe”, così come le risposte specifiche di ciascun Paese. Dopo la Tunisia, c’è stato l’Egitto con le manifestazioni in piazza Tahrir, al Cairo, e ad Alessandria d'Egitto, dalla fine di gennaio 2011, che hanno portato al rovesciamento del regime di Hosni Mubarak. Lo scenario è stato lo stesso della Tunisia. Dopo le rivolte abbiamo assistito a elezioni cosiddette “democratiche” e al silenzio sui finanziamenti occulti dell'Islam politico alle campagne elettorali, all’acquisto di voti con generose donazioni ai poveri, al trasporto in autobus dei “cittadini elettori” che scoprivano le elezioni plurali. La Tunisia aveva scelto di riscrivere la Costituzione, così furono organizzate le elezioni per eleggere un'Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova Costituzione entro un anno ».

E ora, invece, cosa sta succedendo?

«Dopo il 25 luglio 2021, con lo scioglimento dell'assemblea nazionale, la Tunisia sembra essere entrata in un'era di incertezza e disagio. La promulgazione di una nuova costituzione, scritta dal presidente Kais Said senza consultare i partner della società civile e i partiti politici, ha creato falle nell'auspicato processo democratico che si era annunciato prima di allora. Il nuovo codice elettorale, di fatto, è catastrofico per le donne. Il risultato è, infatti, che abbiamo a malapena il 10% di donne nel nuovo Parlamento. Va sottolineato che questa Costituzione e questa nuova legge elettorale costituiscono una nuova ragione di lotta per le donne. La situazione attuale può essere compresa solo attraverso le tappe che hanno segnato gli ultimi 12 anni. Le prime elezioni dell'ottobre 2011 sono state organizzate secondo un codice elettorale che permetteva la rappresentanza di moltitudini di frazioni, con una polverizzazione della rappresentanza politica che non consentiva una maggioranza capace di governare. Le coalizioni, dal canto loro, sono sempre state sfruttate affinché il partito islamista fosse, di fatto, al potere. Dall'inizio della rivoluzione, la società tunisina si è trovata immersa in un dibattito “incredibile”, quello dell’Identità! Tutte le discussioni, infatti, ruotavano attorno alla domanda: « Chi siamo? Musulmani, arabi, laici, atei… » Questo primo dibattito è stato un attacco diretto alle donne e ai loro successi.

Senza entrare nei dettagli di questo momento cruciale, bisogna sapere che l'Occidente, che ha sostenuto i partiti islamisti, non si è preoccupato di difendere la democrazia, l'uguaglianza di genere…!Va ricordato, per la cronaca, lo svolgimento storico dei fatti che portarono alla grande crisi politica del 2013, ovvero dopo l'assassinio di leader di sinistra e il rifiuto delle donne della prima proposta di costituzione pilotata dagli islamisti. Per tutta l'estate del 2013, in pieno Ramadan, le donne hanno occupato luoghi pubblici e bloccato l'accesso al Parlamento. Naturalmente, ognuna dalle forze democratiche ha sostenuto essenzialmente la richiesta di togliere dal potere gli islamisti. Questa crisi è quasi degenerata ed è stata una donna, l’allora presidente del sindacato dei datori di lavoro UTICA, la signora Wided Bouchamaoui, a contattare il presidente del sindacato dei lavoratori UGTT per istituire un organo di negoziazione per il conflitto al fine di contenere la crisi sociale. E per questo processo ha vinto il premio Nobel per la pace.

Poi ci sono state le elezioni del 2019 e l'insediamento del Parlamento, in cui le alleanze degli islamisti hanno portato a un'altra forma di mobilitazione, questa volta all'interno del Parlamento stesso.

La crisi del Parlamento, dal 2019 al luglio 2021, è stata la conseguenza della lotta delle forze democratiche e patriottiche per la gestione dello stesso da parte degli islamisti. Il Destourian Party, che si dice di Bourguiba, ha resistito alle alleanze degli islamisti con i partiti di estrema destra e con un partito nato alla vigilia della campagna elettorale che ha visto eleggere del leader islamista, Rached Ghannouchi – l'uomo più odiato della Tunisia – a presidente del Parlamento.

Non solo le elezioni sono state “truccate” e per nulla “trasparenti”, visto il finanziamento illecito e proibito del partito islamista nahdha dimostrato dalla Corte dei Conti, ma gli alleati islamisti hanno fatto di tutto per varare leggi pericolose per la sovranità del Paese. Da lì in poi, numerosi conflitti si sono presto generati sotto lo sguardo indifferente del presidente, sfociando in violenze fisiche, soprattutto nei confronti del presidente del Pdl »


Parlando oggi di “questione tunisina”, si rischia di ridurre tutta la crisi al problema dei flussi migratori…

« La crisi tunisina, come ho cercato di spiegare, è il risultato sistemico di quella che viene definita la « Primavera araba ». La distruzione della Libia e l'assassinio "filmato" del Presidente Gheddafi trasmesso su tutte le televisioni del mondo, ha avuto conseguenze catastrofiche sulla credibilità dell'Occidente e sulla sua ipocrisia. Questo episodio ha ricordato molto quello di Sadam Hussein, impiccato nel giorno dell’Id al-adha (ofesta dello sgozzamento“), la celebrazione musulmana che ricorda il sacrificio di Ismaele da parte di Abramo, una delle feste religiose più importanti del mondo musulmano.

L’intervento della NATO nelle guerre per cambiare i presidenti e l'ipocrisia dell'Europa, ha danneggiato i popoli e il loro sviluppo tanto quanto hanno screditato l'Occidente, che oggi stenta a convincere sulla questione "Ucraina". Va comunque ricordato che la Libia (così come, prima della loro destabilizzazione, l'Iraq e la Siria) era un paese laico, non indebitato, ricco di risorse energetiche e di risorse umane. Un paese che aveva una visione di sovranità africana e assicurava una strategia di ruolo sulla questione dei migranti subsahariani.

Il problema che stiamo vivendo ha la sua origine nell'incapacità dei paesi europei di comprendere le società del Sud o del mondo arabo. Uccidere migliaia di persone innocenti per cambiare i presidenti al fine di "implementare la "democrazia dell'Occidente" o per cancellare ciò che non è in linea con i programmi occidentali, dovrebbe stimolare tutti a una riflessione. Gettare in esilio milioni di persone e accusare regimi o “dittatori” precedentemente accolti, quando gli interessi dell'Europa erano soddisfatti, rivela un'ipocrisia mal accettata nelle nostre regioni.

Un Occidente che dà lezione, mentre i popoli hanno il diritto di difendersi, di resistere all'occupazione e di esigere rispetto. Oggi si tratta di prendere atto che l'Occidente non può più essere credibile quando ha “doppi standard”, quando tace sull'occupazione della terra e su un regime di apartheid in Palestina, che non ammette i crimini in Iraq, Libia, Palestina, Siria, e nel frattempo, dichiara di voler castigare la Russia che occupa l'Ucraina. Ora… dopo Gheddafi, Saddam, Bashar… Putin.. »

La crisi tunisina è, dunque, una conseguenza della crisi mondiale che si aggiunge a ragioni prevalentemente interne…

« Per la Tunisia, questo passaggio storico è cruciale. Non è possibile descrivere in poche righe il processo di destabilizzazione e disgregazione sociale che sta indebolendo il Paese. L'attuale governo al potere non ha presentato e difeso alcuna visione, ma continua ad attuare una politica di esclusione dei diritti e di discriminazione nei confronti delle donne. Basta leggere l'articolo 5 della Costituzione riscritto da Kais Saied ».

Quale contributo hanno dato le donne negli ultimi anni e come hanno partecipato alle rivolte?

« Con forza e determinazione per prendere coscienza di una finta “primavera filo-occidentale”, che, ripeto, ha finito per avallare i regimi islamizzati. Dopo la Tunisia, questo piano di destabilizzazione ha colpito la Libia, con le conseguenze che stiamo vivendo e con una divisione di questo Paese egemonizzato da bande e gruppi islamisti; ha colpito l'Egitto con il presidente Morsi e i militari che presero il controllo del Paese, come anche la Siria, ed è stato un capitolo devastante per le conquiste dei diritti delle donne in Tunisia. Ma tutto ciò meriterebbe più di un articolo per spiegare chi sono gli "islamisti di Ennahdha", i politici affermati e sostenuti dall'Occidente. Questo lungo processo di destabilizzazione regionale ha generato, infatti, all'interno di questi Paesi, anche una divisione sociale con le donne e l'Islam è diventato la causa determinante di questa divisione.

La posizione dell'Europa sulla crisi siriana, per esempio, è stata catastrofica e ha dimostrato tutta l'ipocrisia di un Occidente che spaccia ogni cosa per “difesa dei diritti umani”. Le conseguenze sono centinaia di migliaia di persone accampate nei campi profughi in Kurdistan, Giordania, Libano, intere popolazioni e culture ridotte a condizioni di nomadismo e di assoluta precarietà che sopravvivono nelle tendopoli grazie all'aiuto e all'assistenza delle istituzioni umanitarie. In una situazione così degradata, a pagare il prezzo più alto sono le donne, ovviamente, e non credo ci sia altro da aggiungere.

Il complotto in Tunisia è stato rivelato dalle donne che si sono trovate naturalmente a difendere i propri diritti, le proprie conquiste, la propria esperienza, rifiutando la semplificazione occidentale dell'emancipazione. Un modello che non ci appartiene, se l'idea é che dobbiamo diventare tutti consumisti ».

In che misura e come le donne tunisine si sono imposte conquistando diritti e ruoli di potere ? E cosa resta da fare ?

« La presenza delle donne nella società tunisina si riscontra negli indicatori che ci dicono che oltre il 70% dei laureati sono ragazze, così come il 50% dei medici è costituito da donne. Le donne sono presenti anche nel tessuto sociale e culturale come giudici, avvocati, ingegneri. Questo è il risultato ottenuto a seguito dell'indipendenza e della promulgazione del Codice dello statuto personale, entrato in vigore nell'agosto del 1956 ancor prima della totale indipendenza della Tunisia, che ha stabilito una serie di leggi volte a garantire l'uguaglianza tra uomini e donne nei diversi settori produttivi della società ».

L'Unione per il Mediterraneo (UpM) è un'organizzazione intergovernativa che riunisce 43 paesi europei e mediterranei: i 27 Stati membri dell'Unione europea e 16 paesi partner mediterranei del Nord Africa, del Medio Oriente e del Sud-Est. È stato creato nel luglio 2008 in occasione del Vertice di Parigi per il Mediterraneo, al fine di rafforzare il partenariato euromediterraneo (Euromed) istituito nel 1995 con il nome di Processo di Barcellona. Pensa che abbia ancora oggi una prospettiva?

« Credo che questa partnership voluta dai francesi non abbia futuro per come è stata concepita e così com’è oggi, per gli obiettivi che le sono stati assegnati. L'UpM è una propaggine di un'epoca passata che riguardava la circolazione delle merci, non delle persone. Il suo peccato originale è, inoltre, quello di aver incluso "Israele", che per l'opinione pubblica delle masse arabe rimarrà un paese colonizzatore illegale della Palestina, con la protezione dell'Europa; e questo, nonostante gli innumerevoli crimini denunciati da centinaia di Nazioni Unite risoluzioni. Finché questa ingiustizia resterà impunita e tollerata, i valori di pace e dignità difesi dall'Europa non significheranno nulla perché non sono credibili e la questione della "normalizzazione" rimarrà un punto controverso. La storia della Tunisia, infatti, è berbera, ebraica, cristiana e musulmana. La comunità ebraica è antica e c’è una differenza totale tra la religione ebraica e il sionismo che rimane un'ideologia religiosa. Il discorso antisemita è, quindi, ridicolo, perché ci consideriamo semiti e abbiamo le stesse radici delle tre religioni monoteiste ».

Anche la cooperazione tra RAI e Tunisia ha svolto un ruolo importante nel rafforzamento delle relazioni con l'Italia. Com’ è andata a finire e che tipo di notiziari e canali televisivi seguono oggi i tunisini ?

« La RAI è parte della memoria collettiva dei tunisini nei centri urbani e di una generazione di cittadini dai 45 ai 70 anni. Ovviamente l'Italia rimane il Paese culturalmente più vicino a noi: per la storia, le famiglie, la cultura. Purtroppo il panorama odierno è totalmente cambiato. Si tratta di un cambiamento sistemico, con la profusione di canali tv. La RAI era all'inizio l'unico canale tv accessibile anche prima di quelli francesi. Poi, dalla fine degli anni '90, ecco l'entrata in vigore della tv satellitare araba, che in gran parte veicolava un discorso moraleggiante religioso “islamista” estraneo ai nostri costumi ».

Secondo lei, la crisi in Tunisia potrebbe avere conseguenze sociali, ad esempio un allontanamento culturale dall’Europa ?

« La crisi è generale, è crisi di visione del mondo. L'Europa stessa è in crisi. Quella dell'Unione europea è sistemica perché ci troviamo di fronte alla mancanza di indipendenza europea e di una strategia globale rispetto ai cambiamenti, alla sovranità, ai diritti umani. L'Europa ha due pesi e due misure. Tutti i Paesi del sud del Mediterraneo, quelli dell'Africa subsahariana, stanno vivendo un cambiamento che l'Europa fatica a comprendere. Purtroppo la Tunisia non sta gestendo bene la sua posizione e il suo ruolo di Paese nel cuore del Mediterraneo. Ha élite di altissimo livello, che nella fase attuale sono poco rappresentate. La richiesta di laureati dai Paesi occidentali e la partenza in massa di ingegneri, medici, tecnici, per esempio, è una tragedia perché il Paese ne ha bisogno, ma non offre possibilità di sviluppo. Questo fattore potrebbe amplificare la crisi e, quindi, rallentare la ripresa. La dolorosa questione dell'emigrazione clandestina va trattata con la massima importanza ».

L'Europa della pace e della solidarietà può essere una visione culturale per il Mediterraneo?

« Un ritorno all'idea di un'area mediterranea è auspicabile perché il Mediterraneo è il cuore dell'umanità e sembra che il progetto dell'UpM possa essere rivisto con una nuova prospettiva che dovrebbe indurci a chiederci quale futuro ci attende in questa regione. Certamente l'Italia ha qui il suo peso storico, culturale ed economico. Voglio, però, rassicurarvi che i nostri geni, i nostri cromosomi, sono prevalentemente mediterranei e non arabi. Il Mediterraneo, inteso come spazio culturale ed economico comune, dovrebbe essere l'asse strategico del futuro. Promuovere una macroregione mediterranea in cui prevalgano gli scambi e la cooperazione, come è sempre stato tra le due sponde, piuttosto che alimentare i conflitti e la subordinazione della sponda sud, potrebbe essere vantaggioso per tutti. Io, per esempio, pretendo di essere, culturalmente, una donna mediterranea, araba, con tutte le contaminazioni storiche che sono patrimonio culturale comune di chi vive nel cuore del mondo che oggi sembra, piuttosto, un cimitero dove morire e un muro che ci separa su cui piangere. La Tunisia resta uno dei paesi più belli che spero possa stupire, perché la donna tunisina è innovativa, coraggiosa e combattente».

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