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In Sudafrica si profilano turbolenze politiche nel dopo Mbeki…

di Giulio Albanese

Devo ammettere che sono molto preoccupato per le dimissioni di Thabo Mbeki dalla massima carica dello Stato annunciate ieri in diretta televisiva. Una decisione che apre per il Sudafrica una fase di turbolenze politiche senza precedenti dalla caduta del regime segregazionista. A parte l’impopolarità crescente, Mbeki paga lo scotto soprattutto per il forte sospetto di aver tentato di condizionare la giustizia tentando di bloccare la scontata elezione nelle prossime presidenziali del suo rivale, il controverso Jacob Zuma, presidente dell’African National Congress (Anc), accusato di corruzione. La corte che doveva giudicarlo nei giorni scorsi lo ha prosciolto per vizio di forma, dichiarando inoltre che la politica – questa la goccia che per così dire ha fatto traboccare il vaso – aveva tentato di condizionare l’azione giudiziaria. Mbeki ha naturalmente respinto ogni ingerenza ma è stato delegittimato dal suo partito. Condivido a questo proposito il punto di vista dell’autorevole arcivescovo anglicano e premio Nobel per la pace, Desmond Tutu, il quale si è detto “profondamente disturbato dal fatto che la nazione è stata subordinata ad un partito politico. Il Sudafrica appartiene a tutti coloro che ci vivono e non ad una formazione politica, non importa quanto quest’ultima sia potente”. L’uscita di scena di Mbeki è per Tutu un chiaro segnale del malessere politico che serpeggia nel Paese a seguito dell’astio prodotto dal “dopo-Polokwane”, in riferimento alla conferenza dell’Anc ospitata lo scorso dicembre nella città di Polokwane in cui Mbeki è stato rimpiazzato dal rivale Zuma nella presidenza del partito. Un passaggio di consegne che alla prova dei fatti è degenerata in una vera e propria guerra all’interno del partito innescando una grave conflittualità politica e dunque una profonda divisione. Mbeki e Zuma sono due personaggi molto distanti l’uno dall’altro. Il primo è un colto e distinto Xhosa, certamente privo del carisma mandeliano (per intenderci quello del padre della patria Nelson Mandela), ma comunque capace di reggere il Paese nell’attuale congiuntura internazionale. Il secondo è uno Zulu, eroe della lotta all’apartheid, avendo trascorso quasi 10 anni in prigione, con una caratterizzazione fortemente populista. Su di lui pesavano però fino a pochi giorni fa sei capi di imputazione (frode, corruzione, appropriazione indebita, associazione a delinquere e evasione fiscale). D’altronde, già nel 2005 Zuma fu costretto a dimettersi dalla carica di vicepresidente del Sudafrica perché un suo assistente era stato condannato per corruzione. In seguito era stato assolto tra le polemiche da un’accusa di stupro. Tutto ciò, inutile nasconderselo, ha gettato una lunga ombra sul possibile candidato alla leadership del Paese. Ma i suoi seguaci e il suo stesso partito hanno sempre aspramente criticato i giudici, accusati di essere manovrati dal clan rivale dei Mbeki, che avrebbe tentato di estrometterlo forzatamente dalla presidenza della repubblica. Una cosa è certa. Il Sudafrica riveste un ruolo di leadership a livello continentale e un suo indebolimento politico non gioverà certamente alla causa dell’Africa.

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