Famiglia

In scena la voglia di vivere

In uno spettacolo teatrale il coraggio di un’attrice che lotta contro il cancro. Ogni sera, sipario sulla sua storia

di Carlotta Jesi

«Puntate bene, raggi. Lasciate stare i miei polmoni e gli organi vitali, fate attenzione». Sì, puntate bene radiazioni, ti scopri a sussurrare col resto del pubblico mentre i raggi ultravioletti di una radioterapia attraversano il buio del teatro puntando dritti sulla donna seduta al centro del palcoscenico. Sola, senza un nome e senza un seno. «Puntate bene», ripete calma, quasi a indirizzare il tiro dei raggi, la signora. Protagonista, con altri cinque attori, di ?Quesalid?. Lo spettacolo in due atti scritto e diretto da Mimmo Sorrentino per la cooperativa ?Teatro Incontro? di Vigevano che, al Crt di Milano, inscena la paura della morte e l?attaccamento alla vita raccontando le storie di Quesalid e Laura Allegri. «Uno sciamano della tribù dei Kawakiutl e una donna malata di cancro interpretata da un?attrice della nostra compagnia realmente afflitta dal male», spiega Sorrentino qualche minuto prima dell?inizio. Con mani che non smettono un secondo di muoversi, stringersi e accartocciarsi in pugni mentre ricorda come, due anni fa, è nata questa pièce. «Quando ho scoperto la storia dello sciamano Quesalid, che nel 1890 scrisse un diario raccontando che i suoi sospetti verso gli sciamani lo avevano spinto a frequentarli fino ad apprenderne i trucchi, diventare lui stesso uno sciamano e rendersi conto che, pur con l?imbroglio, riusciva a guarire i malati per il semplice fatto che questi credevano nel suo potere, ho pensato subito a Laura», spiega Sorrentino, con un inconfondibile accento napoletano e gli occhi scuri tesi all?indietro nel ricordo. Lo sciamano e la storia di Laura Che non capisce subito perché Quesalid gli fa venire in mente la storia di Laura, ma comincia ugualmente a scrivere la pièce e a provare con gli attori. Fino a quando, a spettacolo già quasi pronto, legge tra gli scritti dell?antropologo Ernesto De Martino una definizione del ?dramma magico? che improvvisamente rende tutto chiaro: il dramma magico insorge in momenti critici dell?esistenza, quando si è chiamati a uno sforzo più alto del consueto. «Quando ti trovi davanti a un?amica malata. O come quando, anche se racconti una storia di morte, celebri la vita», spiega il regista.Che su un palcoscenico buio con cinque clessidre giganti in cui la sabbia scorre incessantemente, oltre a Laura, porta una giovane ragazza Down, un?anoressica e un ragazzo in crisi di astinenza pronti ad affidarsi a uno sciamano perché, con loro, medicina e scienza non hanno funzionato. Cure ?alternative? che, nella vita, Laura non ha mai provato. «Non ho mai pensato che queste o altre terapie guariscano di colpo. No, servono piuttosto a farti vivere meglio la malattia, a farti vivere la vita senza pensare che, malato, davanti tu abbia solo la morte. Recitare per me non è teatroterapia, non penso affatto che qui guarirò di colpo». No. Ma prendere la macchina e da Piacenza raggiungere ogni giorno Milano, per lei è vita. Nel dramma, interpreta se stessa Lo capisci, seduto nel pubblico, mentre con una parrucca in testa recita la parte di una donna malata. Mentre, in mezzo ad attori che interpretano un dottore superficiale e uno sciamano dei nostri giorni, lei interpreta se stessa con parole che forse ha detto per davvero qualche ore prima in ospedale. E lo capisci soprattutto il giorno dopo lo spettacolo, quando, con ancora ben stampati in testa i suoi occhi, la chiami con qualche timore di chiedere la cosa sbagliata o di affaticarla, e lei, con voce squillante, risponde: «Un attimo che abbasso il fuco sotto alla peperonata. Ok, dimmi». A parlare di più, naturalmente, è lei. Quarantasette anni, un figlio di quattordici, una passione per il teatro nata quasi per caso leggendo l?avviso di un corso di recitazione e «delle ortensie piantate qui fuori di casa che è una gioia immensa vedere rifiorire ogni anno. Sai, mi avevano dato sei mesi di vita nove anni fa». Quando a Laura viene cancellato un seno. «Mi sono abituata, e la compagnia mi ha aiutato a non temere di mostrare il mio corpo in scena: togliere il seno per me è stato come togliere la malattia dal mio corpo». Proprio ciò che, sul palco, lo sciamano Quesalid fa con i suoi pazienti: prima di visitarli, si infila in bocca un batuffolo di cotone che sputa tutto insanguinato dopo essersi morso la lingua e presentandolo al malato come il morbo estratto dal suo corpo grazie alla magia. «Un trucco», spiega Sorrentino, «che Quesalid ha imparato durante il suo apprendistato con gli sciamani. Ma un trucco che funziona, perché alla fine ci credono sia lo sciamano che i suoi pazienti». E forse un po? anche il pubblico, che comincia a cercare il confine tra suggestione magica e medicina ufficiale. Lanciandosi in un fragoroso applauso quando sembra che lo spettacolo finisca con la guarigione della donna malata di cancro che lo sciamano libera anche dalla paura della morte e della malattia. Già, sembra. Ma non è così. Ma la realtà è un?altra Proprio quando pensi che sia finita bene, Laura smette di recitare. Si stacca dalla fila degli attori schierati sul palco, alza una mano verso il pubblico e ferma l?applauso: «Piacerebbe anche a me che finisse così, ma la realtà è un?altra». La sua. E lo spettacolo riprende con un odioso dottore che le raccomanda di ricominciare la cura: signora, dal suo ultimo ciclo di chemio le cose sono cambiate, ci sono meno effetti collaterali, se vuole ce la fa. «Una frase molto pericolosa», racconta Laura fuori di scena. «Ti dicono che la convinzione del paziente è il miglior alleato della guarigione, e tu ti metti a crederci. Ma se poi arriva una ricaduta, allora tutto diventa più difficile. Cominci a pensare di non voler davvero guarire, e lasciarsi andare, in questi casi, è una tentazione forte». Da quando recita in ?Quesalid?, a lei non è mai capitato. Ma quanto sia duro andare avanti te lo fa capire ogni secondo sul palco. E soprattutto alla fine dello spettacolo, quella vera: «Finché recito, sono viva», dice Laura, «Ogni giorno non vedo l?ora che gli attori della compagnia mi chiamino per comunicare altre date dello spettacolo. So anche che, un giorno, dal palcoscenico mi porteranno in ospedale per morire. Per questo ogni sera non vedo l?ora che arrivi l?ultima battuta».


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