Famiglia

In scena i belli di notte

Dal crudele libro-reportage “I mignotti” gli autori hanno ricavato una pièce dal linguaggio poetico. Ne sono protagonisti gigolò, giovani marchettari e travestiti...

di Alessandro Sortino

La prostituzione maschile è un fenomeno che, soprattutto nelle grandi città, negli ultimi anni abbiamo prima scoperto e poi imparato a conoscere. Ma resta sconosciuta come fatto sociale e soprattutto come esperienza umana. Sono ignoti ai più le ragioni e i sentimenti degli uomini che si vendono ad altri uomini. Ora uno spettacolo teatrale li racconta. Si chiama ?I mignotti? ed è stato presentato al Festival di Todi, rassegna teatrale incentrata sulla nuova drammaturgia che si svolge nella cittadina umbra dal 22 agosto al 1 settembre. Ne sono autori Riccardo Reim e Antonio Veneziani (molto noto come poeta: ha vinto un?edizione del premio intitolato a Penna ed era amico di Dario Bellezza). La regia teatrale è curata dallo stesso Reim, già segnalatosi negli anni scorsi, nello stesso festival.

La genesi di questo spettacolo è interessante, in particolare sotto un riguardo letterario: il testo teatrale infatti è tratto da un libro dal titolo omonimo (Castelvecchi editore, 222 pagg., lire 18.000), scritto dagli stessi autori. Il libro ha un taglio giornalistico: è composto da una serie di interviste raccolte in tutta Italia nei luoghi frequentati dai prostituti e dai loro clienti. Gli intervistati raccontano la propria storia, e descrivono il proprio mondo interiore. Ne esce un quadro drammatico e sconvolgente, non tanto o non solo per i particolari sessuali delle esperienze (sarebbe questo il modo più sbagliato per leggere il libro, anche se è quello suggerito dal catalogo della casa editrice), ma per i ritratti umani che vengono dipinti: quelli di uomini afflitti da una solitudine indicibile, che hanno risolto i loro problemi economici, ma che hanno perso, in molti casi, qualsiasi speranza di felicità.

Emerge il dramma dell?identità sessuale, vissuto senza neanche il coraggio, con questa necessità di aggiustamenti continui, al punto che qualsiasi identità raggiunta, anche per un istante, riesce ipocrita e falsa. Ed emerge poi il quadro desolante della prostituzione coatta, quella subita dai ragazzi dell?Est, attratti in Italia e sfruttati con un percorso analogo a quello delle prostitute africane o albanesi: promessa di un lavoro, sottrazione del passaporto, somministrazione di droghe pesanti per creare dipendenza e alla fine la prostituzione.
L?allestimento teatrale non rinuncia a denunciare queste realtà, ma rinuncia invece al realismo come linguaggio, ed è qui il percorso artistico che colpisce. «Io non credo», dice Reim, «al teatro verità. Io credo al teatro che allude, che inventa metafore. Abbiamo scelto per questo un linguaggio che frapponesse un diaframma con la realtà rappresentata, scrivendo il testo per lo più in versi, pur lasciandolo crudo, e rifiutando il tono biografico delle interviste. Così la realtà è ancora più viva, ancora più credibile, nonostante il linguaggio sia lirico e allusivo».

Questo testo teatrale diventa un manifesto di poetica su cui meditare: gli autori sono prima scesi nella realtà, l?hanno riprodotta fedelmente nel libro e poi l?hanno elevata nel linguaggio della rappresentazione teatrale. La realtà, è questo il messaggio, ha bisogno della poesia per essere espressa. Solo ciò che è sottratto alla realtà diviene visibile, e denunciabile. E la poesia serve a questo.

L’opinione
Il costo del disprezzo

Il tratto comune tra la prostituzione maschile e quella femminile è soprattutto il denaro, anche se l?essere pagati per fare sesso risponde a bisogni e domande diverse. Per alcuni è bisogno di denaro non altrimenti disponibile; per altri la prostituzione è uno specifico sessuale per il quale il denaro è solo un alibi che, a volte, fa persino parte del gioco erotico. Ciò è particolarmente vero per alcuni omosessuali che minimizzano la propria identità vissuta con sofferenza o non accettata per niente, attraverso la mediazione del denaro: «Se lo faccio per lavoro, allora non sono gay». Nella prostituzione eterosessuale i rischi li corre la prostituta, che quasi sempre è disprezzata dal cliente che vive il rapporto come qualcosa di sbagliato e, a volte, persino di ripugnante.

Questo meccanismo nella prostituzione maschile è perfettamente rovesciato: è, infatti, il prostituto che spesso disprezza e odia il cliente, che è, in genere, un omosessuale ormai non più giovane cresciuto nella cultura della clandestinità della omosessualità.
di Franco Grillini

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