Welfare

In ricordo di Pietro Valpreda

Che la terra ti sia lieve, Valpreda, mostro di un Italia che non c’è più, anarchico ragazzino.

di Ettore Colombo

E così, Pietro Valpreda, è morto. Lo ha fatto nella sua antica abitazione milanese, piena di libri e di quadri futuristi alle pareti: aveva 69 anni ed era malato di tumore. Il suo cane lo ha preceduto non di poco e forse per questo a Pietro piacevano così tanto i telefilm sui cani. Solo che, in quei telefilm, c?erano anche i poliziotti, i migliori amici dei cani. Nella fiction. Ma a Valpreda ? ballerino, anarchico, accusato e poi assolto dall’accusa di aver piazzato nella filiale della banca Nazionale dell’Agricoltura la bomba che il 12 dicembre ’69 provocò la strage di Piazza Fontana ? tutto questo non importava. Pietro è morto e oggi i suoi compagni di lotta e d?anarchia lo ricorderanno con una bella e commossa cerimonia in un luogo storico per il movimento anarchico milanese e italiano, il circolo Ponte della Ghisolfa. Un luogo che Pietro frequentava spesso, ora che era un vecchio signore in pensione e che anche il bar che aveva aperto e gestito a lungo, nella centralissima e fighetta via Garibaldi, aveva dovuto chiuderlo perché era incapace a gestirlo. Non era bravo a gestire tante cose, il Pietro. La Storia che ti si abbatte sulle spalle (e i capelli, presto bianchi e radi come quelli d?un vecchio capo indiano) sotto forma di bomba e strage connessa, tanto per dirne una.
Subì un processo ? ed una criminalizzazione ? lunghi almeno come il decennio che di quella strage porta il nome, il decennio (e la strategia) ?della tensione?, Valpreda. La sua colpa era d?essere un ballerino, e per giunta anarchico, aderente al circolo ?XXII marzo?, stracolmo – come tutti i circoli anarchici d?allora – d’infiltrati di polizia, carabinieri e servizi segreti. Nel suo, l’unico anarchico vero, su 15 e più persone, era lui. Il meno anarchico di tutti, come diceva un’altro anarchico “vero” di allora, Pino Pinelli. Scherzi della Storia, appunto. Ma chissà se, alla fine, fu proprio il suo mestiere di “ballerino” ad essere considerato determinante perché proprio lui, Pietro Valpreda, fosse scelto come “capro espiatorio”, fosse indicato come il “mostro” di piazza Fontana. E sì perché nel 1969, in un’Italia cupa e perbenista, “ballerino” era sinonimo di “depravato”. E, da ben prima del ?68, in molti avevano paura dei “capelloni”, degli hippy. Figuriamoci dei ballerini. Anarchici, per giunta. E? per questo, forse, che Valpreda – dopo il suo arresto causato da un teste che lo accusava, il ?tassista Rolandi?, altra icona del periodo ed altro nome che oggi nessuno ricorda più, il quale sostenne di aver caricato lui ed una grossa borsa nera poco prima della strage ? fu oggetto di una campagna denigratoria a metà tra il sociologico e il giudiziario, in cui autorevoli commentatori spiegavano perché una personalità simile potesse essere capace di un gesto così efferato come l’aver messo una bomba a piazza Fontana. Bomba che provocò, quel 12 dicembre, 16 morti e 87 feriti (senza dire dei funerali di Stato, della tragicità dell’evento e del resto, compresa la storia d’Italia che, da allora, cambiò, e decisamente. In peggio). Gli anni (tanti) sono passati e Valpreda ? dopo ben tre processi ? è stato assolto definitivamente solo nel 1979 (era stato scarcerato nel 1972), anche se quella storia lo ha perseguitato per tutta la vita, diventando un?idea così fissa e paranoica che nemmeno i libri ?gialli? degli amici scrittori, intellettuali e giornalisti che di tanto in tanto scriveva o nei quali veniva intervistato e che andavano a trovarlo tirandolo fuori dall?oblio nervoso e rancoroso nel quale si era cacciato assieme ai suoi, riuscivano a placare. Negli ultimi anni, Valpreda era sempre più stanco, segnato, stufo. Anche di celebrare quello che ormai è un rito trito e ritrito per buona parte della sinistra ? il corteo per piazza Fontana, il 12 dicembre, e quello per Pino Pinelli, l?amico anarchico ?suicidatosi? dalla finestra della Questura di Milano tre giorni dopo, il 15 di dicembre ? e solo un?occasione come un?altra di “marinare” la scuola per tanti studenti kefiah in viso e pugno chiuso.
Non a caso, dopo la sentenza dello scorso anno – che condannava per la strage della banca in seguito al nuovo (ed ennesimo) processo per la strage di piazza Fontana, conclusosi con le condanne (in primo grado) di Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi, ossia due tra i principali esponenti della cellula di Ordine Nuovo del Veneto – Valpreda commentò amaramente la sentenza, specialmente a proposito dei due neofascisti condannati all’ergastolo: “Uno è latitante, l’altro è troppo vecchio e malato per andare in galera. A che serve, allora?”.
Già, appunto, caro Pietro: a che serve portare rancore? E a te cosa è servito ricordare con rabbia tutto per trenta lunghi anni? Che la terra ti sia lieve, Valpreda, mostro di un Italia che non c?è più, anarchico ragazzino.

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