Sostenibilità

In quei sacchetti ci sono 200mila tonnelate di petrolio

Riciclo: in Finanziaria bocciato l'obbligo delle buste biodegradabili. Di Simona Sessini

di Redazione

Per una volta che eravamo in area primato, abbiamo buttato tutto al vento. Francia-Italia, uno a zero. La commissione Bilancio della Camera, che sta esaminando gli emendamenti alla Finanziaria, ha dichiarato inammissibile quello relativo all?obbligo di sostituire, a partire dal 1° gennaio 2010, le buste per la spesa in plastica con quelle in materiali biodegradabili. L?emendamento era stato approvato dalla commissione Ambiente ed era stato salutato con gioia da vari pezzi d?Italia. Infatti, questa disposizione avrebbe portato il nostro Paese a raggiungere gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto, e soprattutto, partendo da un oggetto quotidiano come il sacchetto della spesa, gli italiani si potrebbero accorgere che l?alternativa alla plastica c?è ed è persino made in Italy. Perché per sostituire i sacchetti di plastica – prodotta dal petrolio con prezzi oscillanti per colpa di precari equilibri geopolitici, e che oltre ad inquinare si sta esaurendo – si possono utilizzare shopper in materiali biodegradabili di origine vegetale: mezzo chilo di mais e un chilo di olio di girasole bastano per produrre 100 sacchetti. Asse profit – non profit «La norma che prevede entro il 2010 la sostituzione dei sacchetti di plastica consentirebbe di risparmiare 300mila tonnellate di plastica e 200mila tonnellate di petrolio, che rispetto al bilancio complessivo del consumo di petrolio è una frazione minima», spiega però Stefano Masini, responsabile ambiente e territorio di Coldiretti. Ma è proprio la Coldiretti a segnalare per prima il parere negativo della Commissione Bilancio, sottolineando come questo significhi «perdere l?opportunità di recuperare il ritardo sull?applicazione del Protocollo di Kyoto e di dare spazio a una filiera fortemente innovativa, dove l?Italia può svolgere un ruolo di primo piano a livello mondiale». La vicenda dei sacchetti bio ha per protagonisti Coldiretti e Novamont, un?azienda italiana nata da una costola della Montedison, da 15 anni in prima linea nella ricerca e nell?industrializzazione di materiali biodegradabili. I due promotori hanno siglato un accordo a inizio 2006 che ha portato alla creazione della prima bioraffineria a Terni, che utilizzerà oltre l?amido di mais, anche olii vegetali. «Grazie alla Coldiretti, Novamont e una cooperativa partecipata da 600 agricoltori locali hanno costituito una società mista», dice Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont. «Attualmente lo stabilimento è parzialmente attivo per quel che riguarda il trattamento dell?amido di mais e dei complessanti, mentre la raffineria vera e propria e l?oleificio sono in costruzione. La piena operatività della fabbrica è prevista per l?inizio del 2008». A pieno regime, la capacità produttiva annua arriverebbe a 60mila tonnellate di bioplastiche, completamente biodegradabili. I campi di applicazione delle bioplastiche sono molti, dal lubrificante ai pannolini, alle bottiglie, e altrettante sono le ricadute che un?innovazione come questa può portare all?economia agricola italiana. «Questa bio raffineria costituisce un modello di produzione industriale sostenibile basato su un brevetto italiano della Novamont», precisa Masini. «La nuova filiera offre dei vantaggi considerevoli all?agricoltura, che vive una forte criticità per la quantità di prodotti immessi sul mercato. Ma se consideriamo il prodotto una commodity, le nostre aziende non competeranno mai; vogliamo invece dare al mercato una merce con un valore aggiunto, come può essere quello della sostenibilità ambientale. Ad esempio le produzioni agricole, su cui fa affidamento Novamont, sono ogm free: non si verifica dunque durante il trattamento un inquinamento ambientale perché il prodotto non è geneticamente modificato». Una sostenibilità che garantisce anche l?agricoltore che può massimizzare la specializzazione delle sue colture, utilizzare gli scarti, minimizzare i costi di trasporto. Si apre la sfida E i vantaggi per chi compra i sacchetti per portare a casa la spesa? I consumatori, secondo Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, «sono sempre più disponibili ad acquistare verde, anche se sembra dapprima costare un po? di più». Lo shopper bio dovrebbe infatti costare 8 centesimi di euro contro i 5 di uno in plastica, ma questo, secondo Bastioli, non è un problema perché «il costo di produzione riduce quello di inquinamento visivo e diminuisce i costi del post vita del sacchetto. Il consumatore ne compra meno e lo usa di più. Infatti il sacchetto in Mater-Bi può essere utilizzato per la raccolta differenziata del rifiuto alimentare, con il vantaggio che si eliminano l?acqua e gli odori e si riduce il peso dei rifiuti organici con un impatto ambientale minore». Anche StefanoMasini sottolinea il vantaggio in termini di costo degli shopper in bioplastiche: «I costi di smaltimento sono più bassi rispetto a quelli della plastica. E i consumatori, se correttamente avvertiti con una sensibilizzazione alla problematica, sono disponibili a questa innovazione. Inoltre, nel prossimo futuro una riduzione dei prezzi è sicuramente più attuabile per le materie bioche per la plastica. Vorremmo che fosse approvata una norma con regole certe: dal mercato ci aspettiamo infatti risultati positivi». Sarebbe un bel passo avanti per migliorare la qualità della vita in Italia. Invece, a meno di ripensamenti dell?ultima ora, anche questa volta non se ne farà nulla. Mentre Chirac fa già pubblicità ai sacchetti bio obbligatori dal 1° gennaio 2010. In Francia, però.

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