Welfare

In passerella su “Centovetrine”

di Redazione

Ha fatto «Centovetrine», «Carabinieri», «Butta la luna». Con la sclerosi multipla. Combattendo giorno per giorno con quelli che «considerano la tua cartella clinica più importante del tuo curriculum, magari mascherando la loro ipocrisia con la preoccupazione per la tua salute». Ha detto di no, invece, al «Grande Fratello», proprio per rispetto del suo cv: al suo posto, in quell’edizione social, il disabile-simbolo è stato Gerry. Antonella Ferrari, classe 1970, è stata la prima attrice italiana disabile a portare a casa ruoli importanti, in tv e soprattutto in teatro, la sua passione. Oggi è testimonial di punta dell’Aism: «Sono un’attrice, avevo comunque scelto di metterci la faccia. E poi credo che un malato si possa riconoscere meglio in me». I sintomi palesi sono arrivati nel 1993, e l’hanno costretta ad abbandonare la danza. Ma non la recitazione, «per quello non serve correre». Per la diagnosi però ci sono voluti dieci anni: «Ora i tempi per fortuna sono molto più brevi, e questo vuol dire aggredire la malattia». Convivere con la malattia, per lei è come «avere un vicino di casa insopportabile: qualche mediazione la devi pur trovare».
Antonella ha riscelto proprio di metterci la faccia: a novembre infatti le è stata diagnosticata una forma secondaria progressiva di sclerosi multipla, e da allora è in carrozzina. «Mi sono sposata a luglio, a settembre siamo andati dai medici per parlare di una gravidanza e la loro risposta è stata “non camminerai mai più”», ricorda. Poteva tacere, invece lei ha preso carta e penna e ha scritto al suo pubblico, per raccontare anche questa nuova difficile fase: la casa da riadattare, la richiesta di mettere un ascensore condominale, l’impossibilità di uscire da sola, la solitudine, il dolore di rinunciare – «almeno per ora, vorrebbe dire davvero sfidare il destino» – a un figlio, la paura che tutto questo diventi definitivo. «Non tanto per il vivere seduti, ma per il lavoro, perché se è stato tanto difficile con le stampelle, figuriamoci in carrozzina».

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