Famiglia

In passerella contro i barbari

A 5 anni subisce l'infibulazione. A 13 fugge dalla sua tribù. Oggi la top model nera è il simbolo di milioni di donne africane che si battono per uscire dalla schavitù

di Redazione

«Avevo circa cinque anni quando seppi da mia madre che il giorno seguente avrei fatto il gudniin; ero felice perché volevo essere come le altre bambine ma anche spaventata perché quando era toccato a mia sorella lei aveva cercato di scappare ed era stata la vergogna di tutta la tribù. Io sarei stata forte, pensavo, ma non sapevo che cosa mi aspettava realmente».
Chi parla è Waris Dirie, oggi una delle top model più apprezzate della passerella internazionale, che da un anno (esattamente dallo scorso settembre) gira il mondo come ambasciatrice dell?Onu contro la mutilazione genitale femminile. Secondo le Nazioni Unite sono più di 130 milioni le donne africane che, sotto una tenda nel deserto o in un ospedale cittadino (per le più fortunate) hanno subito la parziale o completa rimozione degli organi genitali esterni, Waris è una di loro.
Le immagini del giorno in cui fu circoncisa sono molto precise, e i particolari crudi e taglienti; è ancora buio quando Waris viene portata nella tenda di una nomade zingara che, tenendo in mano il rasoio sporco del sangue di qualche altra bambina, la immobilizza, le infila in bocca un bastoncino di legno da mordere e comincia a tagliare. «Ricordo ancora i suoi occhi, aveva certi occhi piccoli e lucenti; il rasoio non era abbastanza affilato e così continuava a tagliare e tagliare, potevo sentire la mia carne tremare mentre stringevo la mano della mamma».
Alla fine della circoncisione, la vagina di Waris viene chiusa con ago e filo per impedire al sangue di fuoriuscire e, per 40 giorni, le sue gambe restano legate insieme, immobili. È così che, da più di 4000 anni , le bambine africane diventano donne. «Volevo morire, ricordo che continuavo a pensare ?mamma perché non mi hai spiegato??, non potevo muovermi e decisi di non dire nulla alle mie amiche per non spaventarle. Fu allora che capii cos?è il dolore e da quel momento nulla fu più lo stesso, smisi di correre e di giocare con i miei fratelli. Se non lo avessi fatto non avrei mai potuto sposarmi, è infatti al marito che, durante la prima notte di nozze, spetta il compito di ?aprirti?»
Proprio per non dover sposare un uomo di 60 anni con molti cammelli, a 13 anni, Waris scappa dalla sua tenda per raggiungere la città dove vive una zia con la quale vive per un po? fino a quando lo zio, diplomatico, non decide di portarla in Inghilterra per aiutarlo nei lavori di casa. «Non sapevo neppure cosa fosse Londra, i miei cugini mi dissero che sarei diventata bianca perché lì vivevano solo persone bianche ed era contagioso; e io ci credevo»
Ma Waris non si è mai pentita di avere lasciato l?Africa. A Londra si innamora per la prima volta e, sapendo di non essere come tutte le altre donne bianche, comincia a chiederesi cosa ci stia a fare lei in occidente, se non può avere rapporti sessuali normali perché è ?bloccata?. Decide allora di parlare con una ragazza inglese di colore conosciuta in palestra per sapere come ha risolto il problema, «Ero convinta che l?infibulazione fosse praticata a tutte le donne nere, cercai di parlarne alla mia amica che però non riusciva a capire, allora glielo mostrai e lei scoppiò a piangere facendomi vedere che non tutte le donne subivano ciò che era successo a me. Guardandola pensai ?Mio Dio cosa mi hanno fatto??, solo allora capii che ero stata mutilata e mi sentii persa e senza speranza».
Il confronto aggiunge al dolore che Waris prova una dimensione nuova: la coscienza di avere subito un torto così grande fa esplodere la sua rabbia e la voglia di raccontare al mondo la sua terribile esperienza. «Presi finalmente il coraggio di andare da un dottore che, superata l?iniziale incredulità, mi disse che poteva operarmi e ridarmi una vita normale; fu un tale sollievo, voi non potete capire cosa significhi provare dolore anche per espletare le più semplici funzioni vitali, è difficile da spiegare, spero che un giorno il mondo possa capire».
Oggi Waris è una mamma felice e combatte per evitare che altre donne subiscano il trauma psicologico e gli atroci dolori che le sono toccati. Dopo una anno da ambasciatrice quale bilancio? «Qualcosa si è mosso, qualche Paese ha fatto delle leggi come in America dove si prevedono 5 anni di prigione per ogni genere di mutilazione genitale femminile effettuata su minori. Ma purtroppo una legge non basta a fermare l?ignoranza e il cieco attaccamento alla tradizione», dice Waris, «sono soprattutto coloro cui è stato negato un diritto che per primi devono lottare perché ciò non succeda ad altri, sono le madri che devono imporsi per salvare le loro bambine. A loro mi sono rivolta in questo anno».

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.