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In Liberia vince il Premio Nobel Ellen Johnson-Sirleaf

di Giulio Albanese

E così Ellen Johnson-Sirleaf, meglio nota in patria come Grandma Ellen (che significa “Nonna Ellen”), si è rivelata, ancora una volta, vincente riconfermandosi alla presidenza della Liberia, dopo l’assegnazione del prestigiosissimo Premio Nobel per la Pace. Proprio come avvenne l’11 novembre del 2005 quando la commissione elettorale liberiana la dichiarò prima presidentessa nella storia del continente africano. Johnson-Sirleaf ha vinto con il 90.8 percento dei suffragi la consultazione elettorale che comunque – è bene ricordarlo – è stata boicottata dal suo principale avversario, Winston Tubman. Questo il quadro della situazione quando la notte scorsa erano state scrutinate l’86% delle schede. Lo ha reso noto la Commissione elettorale precisando che l’affluenza è stata pari al 37.4 percento. Bassissima, dunque, in confronto al primo turno, a riprova che il secondo mandato di Grandma Ellen è davvero tutto in salita. D’altronde l’opposizione contesta i presunti brogli elettorali avvenuti durante il primo turno. Il mancato riconteggio delle schede, a detta di alcuni autorevoli analisti liberiani, pare sia stato un grave errore perché ora il clima politico in Liberia è incandescente. E governare il Paese facendo ricorso alla forza, dopo i morti della vigilia delle presidenziali (si parla di almeno 4 vittime a Monrovia), sarà imbarazzante per un Premio Nobel per la Pace. La settantatreenne Grandma Ellen – madre di quattro figli e nonna di sei nipotini – ha sempre rivelato determinazione e fermezza, confermando in più circostanze l’appellativo affibbiatole dai suoi sostenitori, quello di “Lady di ferro”. Ex ministro delle Finanze del governo di William Tolbert negli anni Ottanta, poi capo dell’ufficio dell’Undp (l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di sviluppo) per l’Africa Occidentale, vicepresidente di una banca internazionale (Citicorp and Equator Bank), Johnson-Sirleaf, stimata e apprezzata anche all’estero, è laureata in economia presso l’Università bostoniana di Harward, dove ha ottenuto un master in public administration. Considerata esponente di spicco della vecchia elite liberiana – per la verità con forti agganci nella massoneria di Monrovia – si è certamente distinta nel processo di riconciliazione nazionale, anche se la sua performance presidenziale non ha soddisfatto più di tanto sul piano delle riforme. In corsa con altri 15 sfidanti, tra cui due donne, il neo premio Nobel per la Pace ha riempito Monrovia di cartelloni del suo partito, quello dell’Unità, con la scritta “Non cambiate pilota se l’aereo non è ancora atterrato” e l’immagine della Johnson-Sirleaf con il berretto da comandante di volo. La verità è non è riuscita ad eliminare la corruzione che in Liberia rappresenta una piaga nazionale, per non parlare della disoccupazione che ha raggiunto nel 2011 circa l’85 per cento. Se da una parte le va riconosciuto il merito d’essere riuscita ad alleggerire il pesante fardello del debito estro ereditato dal regime del suo predecessore Charles Taylor, dall’altra, è bene precisarlo, tutto questo è stato reso possibile rinegoziaziando i contratti stipulati a condizioni svantaggiose con grandi gruppi stranieri, come la Firestone Tire and Rubber. Un business che coinvolge migliaia di braccianti i quali lamentano d’essere malpagati. Non a caso i suoi detrattori l’accusano di svendere il proprio Paese alle compagnie straniere. Anche se ormai è un Premio Nobel per la Pace.

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