In Italia tutto è tracciabile, fuorché il denaro che gli italiani sperperano alle slot machine

di Marco Dotti

Tutto è tracciabile: i nostri spostamenti, gli spostamenti del nostro denaro, i dati anagrafici, contabili e fiscali che ci inquadrano come cittadini e contribuenti. Persino le nostre cartelle cliniche, il gruppo sanguigno e i libri che prendiamo a prestito in biblioteca ci seguono, memorizzati nel chip di una tessera sanitaria.  

Tutto è tracciabile, dunque, fuorché il denaro che gli italiani sperperano giocando alle famigerate e famose slot machine. O meglio, una tracciabilità esiste ma solo per quanto riguarda il giocato. Dalla rete che collega le slot machine e l’Erario (la rete Sogei) non sapremmo risalire al giocatore.

Il fatto non è senza conseguenze, soprattutto per quanto riguarda eventuali e future richieste di risarcimento danni e di restituzione di quanto illecitamente pagato, in base all’articolo 2034 del Codice Civile, qualora venga attestata la “patologia” e la conseguente incapacità al momento di giocare di chi ha giocato.

Prevede infatti l’articolo 2034 del Codice Civile: “Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato  in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace”.

Tra questi “doveri morali o sociali”  – la cosiddetta obligatio naturalis del diritto romano – il Codice Civile annovera il debito di gioco. Quel debito verso il quale lo stesso Codice Civile, all’articolo 1933, non riconosce alcuna azione. In sostanza, se paghi non puoi chiedere nulla indietro (salvo il caso di frode o, integra il già citato articolo 2034, quando “la prestazione sia stata eseguita da un incapace”), ma se non paghi il creditore non ha azione legale contro di te. Nei casinò si risolveva tutto ricorrendo a una sorta di pagamento preventivo, rappresentato dal cambio del denaro in fiches.

Nonostante il caos legislativo, queste due norme del Codice Civile rappresentano ancora il perno attorno al quale l’ordinamento reagisce rispetto ai cosiddetti “debiti di gioco”.

Avremo modo di parlarne ancora, entrando nei particolari. Per ora limitiamoci a questa considerazione:  in un periodo in cui si parla di clinica, di gioco d’azzardo patologico e di “ludopatia” (termine improprio, secondo l’Accademia della Crusca), sfugge a molti che proprio la tracciablità del denaro giocato potrebbe permettere a molti “malati” di recuperare quanto indebitamente pagato.  

Per capirci meglio: se compriamo uno smartphone al supermercato, ci viene dato uno scontrino che, per due anni, serve da garanzia. Se si rompesse ma non avessimo lo scontrino, non servirebbe a nulla sostenere che l’abbiamo comprato in quel negozio piuttosto che in un altro, il nostro smartphone. Se “giochiamo” non ci viene rilasciato nulla.  Il che equivale a una sorta di garanzia rovesciata: garantisce il gestore e tutta la catena del gioco da ogni eventuale richiesta di restituzione di quanto indebitamente pagato dal giocatore “incapace”. 

 @CommunitasBooks

 

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