Servizi online

In Italia il welfare passa sempre di più dalla rete

Il progetto Weplat, finanziato dalla fondazione Cariplo con capofila l'università Cattolica del Sacro Cuore, ha individuato ben 137 piattaforme che operano nel settore del benessere, aiutando a trovare psicologi, medici, baby-sitter e molto altro

di Redazione

Due mani che si tendono l'una verso l'altra con sullo sfondo un cielo sereno con poche nuvole

In Italia il welfare passa sempre di più dalle piattaforme digitali. Dagli psicologi online alla ricerca dei baby sitter, passando per l’educazione e la salute, sono ben 137 le realtà di questo tipo attive sul territorio nazionale mappate da Welfare systems in the age of platforms – Weplat, progetto di ricerca finanziato da fondazione Cariplo che ha l’università Cattolica del Sacro Cuore come capofila in partnernariato con l’università di Padova, l’agenzia community design Collaboriamo e la rete di imprese sociali del consorzio nazionale Cgm.

Fino a poco tempo fa queste piattaforme erano il luogo privilegiato per fare acquisti online e prenotazioni di vacanze o mezzi di trasporto; oggi fungono sempre più da provider sociali e sono sempre più utilizzate anche per trovare medici, baby-sitter, psicologi, servizi sociali ed educativi. Delle 137 individuate dal progetto, 59 operano nel settore salute e di queste 32 sono specializzate in servizi psicologici; 10 nel settore di educazione e cura dell’infanzia; 10 nell’assistenza sociosanitaria; 58 sono multi-settoriali. Se guardiamo alla tipologia, 82 piattaforme nascono e operano in ambito strettamente digitale, 29 operano nel settore del welfare aziendale, fornendo servizi e fringe benefit ai lavoratori, e 26 digitalizzano i classici servizi di welfare a livello territoriale spesso erogati da enti locali e soggetti di terzo settore.
Secondo la professoressa Ivana Pais, docente di Sociologia economica all’Università Cattolica e principal investigator del progetto, «Se a livello globale le piattaforme digitali come Uber, Airbnb, Amazon si presentano sempre più come un oligopolio dai caratteri “imperiali”, come ricorda il sociologo Vili Lehdonvirta nel suo fortunato saggio “Cloud Empires” recentemente pubblicato da Einaudi, a livello nazionale e nello specifico campo del welfare assistiamo a un fenomeno in evoluzione, che assume caratteristiche ben diverse e ci obbliga a ripensare, almeno in parte, le nostre categorie interpretative dei comportamenti di consumo e dei modelli di lavoro».

Le case histories approfondite da Walpat mostrano chiaramente l’utilizzo di piattaforme digitali per trovare medici (Doctorium), baby-sitter (Babysits), psicologi (Unobravo), servizi educativi e sociali (WelfareX), sostegno familiare e alla genitorialità (Parentsmile) e, non da ultimo, partecipazione sociale e cittadinanza attiva (Merits). La professoressa Pais mette in luce altre caratteristiche delle piattaforme di welfare, oltre al loro grande numero e all’assenza – almeno per ora – di un «Amazon del sociale». «In primo luogo, la maggior parte sono piattaforme phygital, cioè che offrono i loro servizi non solo in ambiente digitale, ad esempio attraverso video chiamate, ma incontrando faccia a faccia le persone. In secondo luogo, il matching tra bisogno e risposta non è ancora delegato ai soli algoritmi». Infine, la sociologa richiama l’attenzione sulla «scarsa diffusione di meccanismi di recensione online rispetto alla qualità del servizio», che invece caratterizza in modo evidente le piattaforme mainstream. Una scelta che deriva anche dalle specificità legate alla professionalizzazione di alcuni servizi e dal fatto che alcune di queste piattaforme veicolano servizi di welfare “certificati” da soggetti pubblici.

Dal punto di vista del design di piattaforma, la ricerca ha evidenziato che anche nel welfare, come in altri settori, non si può più parlare di un modello dominante. Nei casi studio analizzati sono emersi tre diversi modelli: il primo facilita l’incontro fra pari, il secondo tra professionisti e pazienti, il terzo tra organizzazioni del non profit e cittadini. «Ogni modello presenta un grado di intermediazione diverso a cui corrisponde un utilizzo differente di strumenti e funzionalità. Conoscerli permette a designer e gestori di progettare con più consapevolezza evitando quegli errori di impostazione e layout che hanno portato in passato alla chiusura di diverse piattaforme italiane», sostiene Marta Mainieri fondatrice di Collaboriamo ed esperta di sharing e community economy.

Un aspetto di particolare rilievo per determinare il successo delle piattaforme di welfare è legato al ruolo degli utenti dei servizi. Per Martina Visentin, ricercatrice dell’Università di Padova «le piattaforme studiate mostrano un’abilitazione nei confronti degli utenti che può superare la dicotomia tipica del welfare tra beneficiari passivi e consumatori di servizi. L’utente sceglie il welfare in piattaforma per la flessibilità e tempestività nella risposta al bisogno, per il contenimento dei costi, ma anche per la reputazione positiva di servizi già presenti sul territorio. Sono quindi comportamenti che possono contribuire ad affrontare alcuni problemi strutturali del welfare italiano come la frammentazione delle risorse e delle prestazioni».

I risultati di Weplat sono stati approfonditi e discussi in un convegno tenutosi giovedì 9 novembre all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che è stato introdotto dal keynote speech di Uma Rani, dell’’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite. Divisi in quattro panel di grande attualità – qualità del lavoro, ruolo degli ecosistemi d’innovazione, protagonismo degli utenti e design delle piattaforme – i ricercatori di Weplat hanno avuto l’opportunità di confrontarsi con qualificati discussant provenienti sia dal mondo accademico sia dalle organizzazioni che, a vario titolo, sostengono l’innovazione nel campo del welfare. Tra questi ultimi Giovanni Fosti, presidente del Fondo per la Repubblica Digitale, di recente costituito dalle fondazioni bancarie italiane con una dotazione di oltre 350 milioni di euro per contrastare il divario digitale nel nostro paese, secondo cui «è necessario riconoscere che la comunità è un elemento che genera valore, cosa che i soggetti imprenditoriali che hanno operato attraverso le piattaforme hanno dimostrato e dovrebbero averci insegnato».

E ancora Laura Orestano, Ceo dell’incubatore SocialFare di Torino, che ha accelerato la piattaforme di psicologi online Unobravo, consentendo alla startup di realizzare un round d’investimento di 17 milioni di euro. Socialfare, a|cube e Fondazione Italiana Accenture ETS sono partner dell’acceleratore “Personae”, uno dei programmi della Rete Acceleratori di Cassa Depositi e Prestiti Venture Capital, che sostiene l’avvio e il primo finanziamento di imprese innovative nel campo del welfare. «È evidente», afferma Simona Torre, direttrice generale di Fondazione italiana accenture Ets, «che il processo di trasformazione digitale del welfare è in fase ormai matura, e che molte piattaforme digitali di welfare stanno dimostrando di saper mediare bisogni reali e servizi adeguati. Al tempo stesso gli ecosistemi in grado di sostenere questo processo trasformativo del welfare possono migliorare e per questo serve, soprattutto da parte delle Fondazioni, più apertura al lavoro in connessione e più coraggio nell’esplorare nuovi modelli di supporto all’impresa sociale». «Si tratta di un’opportunità», gli fa eco Flaviano Zandonai, open innovation manager del consorzio nazionale Cgm, «non solo per far emergere una nuova generazione di startup ma anche per innestare modelli di piattaforma tra soggetti già affermati nel welfare, in particolare se si tratta di imprese sociali e altri enti di terzo settore».
Ulteriori informazioni sul progetto sul sito e nell’ebook Il welfare nell’era delle piattaforme, che raccoglie i principali apprendimenti, oltre a delineare nuove piste di ricerca pubblicato da Percorsi di secondo welfare.

Foto in apertura da Unsplash

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