Politica
In Italia è finalmente l’ora del riuso
Parla Roberto Reggi, direttore del Demanio, che racconta il progetto per la vendita e la valorizzazione di 700 edifici «Proposta immobili 2015» ma anche tutte gli altri strumenti che la cittadinanza attiva può sfruttare per recuperare e sfruttare l'immensa ricchezza edilizia del Paese
Sembra che il riuso edilizio stia finalmente diventando pratica. Almeno è questo quello che il progetto “Proposta immobili 2015”, di cui ieri si sono conosciuti numeri e dimensioni, lascia intendere. Ne abbiamo parlato con il prediente del Demanio, Roberto Reggi, che parlerà proprio di questi temi alla tre giorni di Cittadinanzattiva a Spoleto (SpreKO – 5 al 7 giugno)
Ieri sono stati divulgati i primi numeri del vostro progetto “Proposta immobili 2015”. Come nasce questo impegno del Demanio?
Quei numeri riguardano solo una delle iniziative attive. Ci siamo messi a disposizione degli enti territoriali per mettere in vetrina i loro beni da vendere o valorizzare. Questo perché spesso i bandi che questi enti fanno vanno deserti. In questo modo, grazie al bando, facciamo in modo che il patrimonio proposto incontri interlocutori interessati sia nazionali che internazionali.
Si tratta di numeri importanti…
Sì, è un grande successo. Soprattutto se pensiamo che ci siamo rivolti solo al 10% degli enti territoriali, visto che abbiamo preso in considerazione solo i comuni sopra i 20 mila abitanti. Abbiamo ottenuto una risposta da un quarto di loro (200 enti) e da ciascuno di questi la candidatura di circa 3 beni. I manufatti hanno tutti un taglio minimo di un milioni di euro. Tutti gli immobili devono avere una vocazione spendibile, come quella turistica o alberghiera. Ora stiamo valutando ogni particolare per essere sicuri che ogni immobile sia in linea con le richieste e non abbia problemi burocratici o situazioni pendenti.
Un progetto che lancia il riuso come vera e propria pratica pubblica…
Sì, il messaggio forte di questa vicenda è che i beni pubblici non si possono più abbandonare. Ma devono essere usati per generare profitto o lavoro. Il concetto è il riuso. Finalmente sta passando la cultura che non si usano più aree agricole per edificare ma si rifunzionalizza quello che è stato costruito e non viene utilizzato. Un conto è la consapevolezza però un altro è riuscire a farlo. Spesso i comuni, in particolare i tantissimi sotto i 10mila abitanti, non hanno le competenze. Per questo ci stiamo impegnando per dare questo affiancamento.
Si tratta di un progetto cui possono partecipare anche privati?
Sì, è l’altro tema importante. I privati possono essere soggetti promotori, proponendo al comune l'utilizzo del bene pubblico assumendosi i costi di gestione e la ristrutturazione. Di tutti i beni che stiamo valutando stabiliremo cosa si possa vendere, cosa invece è interessante per investimenti.
Ci può fare un esempio concreto?
A Bologna, il Comune ha bisogno di fare 5 scuole nuove ma non ha il denaro necessario. Ha però tre immobili vecchi e due aree libere. Così ha fatto un fondo e ha chiesto al mercato se c’era qualcuno interessato al recupero dei fabbricati e alla costruzione ex novo. Invimit, società di gestione del risparmio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che per statuto deve investire sul territorio, ha risposto e deciso di partecipare. Ma insieme a loro c'è stato interesse anche dei privati, come Inarcassa (Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti), che ha deciso di partecipa con una quota. Le scuole saranno pronte tra tre anni. Il comune pagherà un affitto per 20 anni ripagando l'investimento. Per abbattere il canone per altro Bologna può a sua volta conferire altri immobili, magari di pregio, agli investitori. Creando così un circuito virtuoso.
Per il sociale invece è prevista la partecipazione?
Per quanto riguarda “Proposta immobili 2015” no. Come detto si tratta di una soluzione con fini commerciali per beni con un valore molto alto. Ma c’è tutta un’altra serie di possibilità cui il Terzo Settore può guardare
Quali?
Per quanto riguarda i beni comunali c’è l’art. 24 dello “Sblocca Italia”. Che “Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio” che prevede «I comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare», che riguardano anche «aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano.». Per altro è anche stabilito In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere». Se si parla invece di beni dello Stato c’è l’art 26. “Misure urgenti per la valorizzazione degli immobili pubblici inutilizzati”, che stabilisce che se in un comune c'è un bene statale inutilizzato senza progetti di valorizzazione il Comune lo può richiedere per contrastare l'emergenza abitativa. Ma nel caso in cui abbia già varato norme e azioni che contrastino l’emergenza abitativa può destinarli anche ad altre attività.
E funziona?
Certo. Pensiamo al caso di Bari. Ci ha scritto il comune chiedendo la concessione di una parte di una parte dell'ospedale militare abbandonato della città per il contrasto all’emergenza abitativa. In 30 giorni abbiamo risposto positivamente. La concessione costerà alle casse comunali 250 euro all'anno. Chiaramente le spese sono a carico del Comune.
C’è anche il federalismo demaniale. In cosa consiste?
È uscita una legge nel 2010 che stabilisce che i beni dello Stato disponibili, cioè non funzionali all'attività dell'amministrazione centrale si possono dare al territorio. È partito un meccanismo che ha detto ai comuni di chiedere i beni che, se non strategici, sarebbero stati concessi. Sono arrivate 120 mila richieste. Oggi circa 5700 beni sono stati trasferiti. Siamo intorno al 50%. Tutti da utilizzare con lo stesso meccanismo di cui sopra.
In copertina il Teatro Lirico “Giorgio Gaber” di via Larga a Milano in una foto di Giovanni Hänninen, dal suo lavoro “Cittàinattesa” suigli edifici abbandonati della città
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