Mondo

In Iraq resta solo quella italiana. La Croce rossa non chiude la porta a Bagdad

"Resteremo ancora sei mesi. Anche se quella internazionale ha lasciato". E tra le Ong solo Save the Children ha dovuto venir via dall’Iraq.

di Paolo Manzo

“Gli attentati e le autobombe? Le ong italiane restano in Iraq a pieno regime. Anzi, noi stiamo aumentando la nostra presenza”. Non fa una piega Fabio Alberti, presidente factotum di Un ponte per?, l?associazione che oggi ha otto operatori a Bagdad e che per fine anno conta di incrementare le sue fila in Iraq del 50%. “L?insicurezza non ci ferma e tra un mese partiremo con un grosso progetto con l?Unicef“. Gli obiettivi? La formazione di insegnanti, una campagna di educazione sanitaria ai bambini e ricostruire scuole. Sempre di concerto con le ong irachene, al punto che “con dieci di queste stiamo per aprire il primo centro di servizi per il Terzo settore iracheno, preposto a coordinare progetti”. La prima federazione di ong esclusivamente ?made in Iraq? perché, “l?obiettivo, di qui a tre anni, è di arrivare ad avere a Bagdad un solo italiano in ufficio, e tutti i nostri progetti portati avanti da personale locale”, chiosa Alberti. Sulla stessa linea, restare e, anzi, incrementare la presenza, è Nino Sergi, presidente di Intersos. “Abbiamo deciso di continuare perché gli ultimi attentati non cambiano molto per noi. Inoltre, che fosse pericoloso operare qui lo sapevamo sin dall?inizio”. L?ong guidata da Sergi è presente nelle principali città irachene, con 20 dipendenti internazionali (dieci italiani, due francesi, sette bosniaci e un albanese) e più di 200 locali. Anche la Croce rossa italiana ha annunciato che resterà a Bagdad altri sei mesi. Il mandato scadeva a fine settembre, “ma ci sono ancora molte cose da fare”, dice Maurizio Scelli, il commissario straordinario della Cri. In una Bagdad dove i morti e gli attentati sono ormai triste routine, i 50 uomini e donne della Croce rossa italiana continuano a svolgere il loro lavoro con 350 persone assistite di media ogni giorno. La Croce rossa internazionale ha richiamato buona parte del suo personale ma “noi”, ribatte Scelli, “abbiamo avuto una reazione diversa. I nostri operatori, i nostri volontari ritengono che vestire questa casacca comporti anche mettere a rischio la propria vita. L?obiettivo principale è aiutare quelli che hanno bisogno, e quando arriva un bambino ustionato al 60% perché si è rovesciato addosso una tanica di benzina che il padre vendeva al mercato nero, non c?è nient?altro da pensare o da fare, se non dargli una mano”. La Croce rossa italiana da alcune settimane si è trasferita da un ospedale da campo a una struttura fissa, e quello è stato il momento in cui ha dovuto rinunciare alla protezione dei 30 carabinieri del reggimento Tuscania. Anche Medici senza frontiere fa sapere a Vita, attraverso l?addetto stampa Sergio Cecchini, che nonostante gli attentati nulla cambia nelle loro attività umanitarie a Bagdad e dintorni. Chi, invece, ha dovuto chiudere per motivi di sicurezza i suoi uffici della capitale è stata Save the Children. “Abbiamo in mente di ripartire con tutti i nostri progetti, non appena si stabilizzerà la sicurezza”, fa sapere l?addetto stampa di Save the Children Italia, Antonello Sacchetti. Ma c?è anche chi ci entra a Bagdad. È il caso del responsabile per il Medio Oriente dell?Avsi, Giampaolo Silvestri, che dal 22 ottobre sarà nella capitale irachena. Obiettivo? Ricostruire asili e scuole. Perché il futuro comincia da lì.


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